Il servizio delle Iene andato in onda domenica sera, firmato da Filippo Roma e titolato in modo volutamente sensazionalistico “Adinolfi, dove sono finiti i soldi delle scommesse?”, merita più di una riflessione. Non tanto per il contenuto, quanto per il metodo. È evidente come l’operazione sia stata studiata per provare a lanciare la nuova stagione del programma con un “nome” che facesse titolo. Un attacco a freddo, a sorpresa, che ha scelto come bersaglio Mario Adinolfi, volto noto della politica e del dibattito pubblico nonché concorrente dell’ultima edizione dell’Isola dei Famosi.

L’operazione, tuttavia, non sembra essere riuscita. I numeri parlano chiaro: 9% di share e meno di un milione di telespettatori. Un “flop“, probabilmente dovuto a un pubblico stanco di aggressioni mediatiche prive di sostanza, poco rispettose del principio di garantismo tanto caro persino a uno come Silvio Berlusconi, che proprio delle Iene ebbe a dire più volte di non gradire certi metodi. Colpisce la qualità torbida e inconsistente delle fonti presentate, spesso senza nomi, cognomi o denunce reali. Non è la prima volta che Adinolfi finisce nel mirino delle Iene. Già nel 2016 e nel 2022 vennero realizzati servizi analoghi, mai seguiti da rettifiche o scuse nonostante la loro inconsistenza. Il paradosso era lampante: nel 2016 lo si accusava da candidato sindaco di Roma di un mini-partito con pochissimi manifesti di affissioni selvagge, in una corsa con 18 candidati. Nel 2022, la stessa storia per quanto riguarda le presunte firme false per l’allora “Alternativa per l’Italia”. Più che giornalismo, sembra accanimento.

Il “caso” riportato la scorsa sera ha addirittura le sue radici addirittura nel lontano 2009. Fogli di sedici anni fa mostrati come prova televisiva, ma che chiunque conosca faccia del giornalismo investigativo sa quanto possano essere facilmente manipolati o falsificati. Il servizio di ieri sera si regge su testimonianze deboli e contraddittorie. La signora disabile che afferma di aver dato 9mila euro ne rivorrebbe oggi addirittura 238mila, basandosi su delle semplici mail. Ma le mail, per essere prove, devono mostrare le intestazioni HTTP complete: senza questo, non è dimostrabile né chi le abbia inviate né da dove siano partite. Far vedere un indirizzo mail non basta.

Mario Adinolfi non è solito querelare, e non si è mai fatto conoscere per crociate giudiziarie contro i giornalisti anche su temi molti più spinosi. È piuttosto conosciuto per un aiuto silenzioso e discreto verso le persone in difficoltà, lontano dai riflettori. Il messaggio comunicativo voluto dalle Iene è chiaro: trasformare l’immagine del “buon cristiano” in quella del truffatore. Ma il servizio, inconsistente e nebuloso, non regge a una verifica minima di fonti e contenuti. Alla fine, resta la sensazione che sia stato solo un fuoco di paglia televisivo: un attacco mediatico che non ha convinto, non ha fatto ascolti e non ha prodotto prove. Una mossa da spettacolo più che giornalismo, destinata a svanire velocemente. La speranza è quella di riavere, un giorno, un giornalismo investigativo serio anche alle Iene.

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Esperto di social media, mi occupo da anni di costruzione di web tv e produzione di format