Medici in carcere, l’Asl annuncia nuove assunzioni tra Poggioreale e Secondigliano

Ieri abbiamo riportato la notizia di Salvatore, detenuto 72enne cardiopatico morto nel carcere di Secondigliano, ottava persona a morire di carcere dall’inizio dell’anno in Campania. Ora arriva la notizia che l’Asl ha deciso di procedere con un avviso pubblico per assumere quarantacinque medici da destinare alle carceri di Poggioreale e Secondigliano, sessanta infermieri e un nutrito gruppo di operatori socio sanitari. Insomma di correre ai ripari, per quel che si può.

La decisione di rinforzare il personale sanitario riconosce fondatezza alle pubbliche denunce da tempo fatte dal garante regionale Samuele Ciambriello: le lacune segnalate erano più che reali, la necessità di colmare i vuoti nell’assistenza sanitaria di chi vive in cella è stata per molto tempo una questione lasciata in sospeso, ci sono ormai troppe carenze e cominciano a esserci anche troppe vittime del sistema penitenziario. Da qualunque lato lo si voglia osservare, questo mondo rinchiuso tra sbarre e alte mura è un fallimento. Il sovraffollamento è il grande problema, ma non l’unico. C’è anche il problema del diritto alla salute che in carcere non è tutelato come dovrebbe. «Nel carcere di Poggioreale e in quello di Secondigliano non ci sono medici di reparto», denuncia da tempo il garante Ciambriello.

Cosa vuol dire? Che se un detenuto si sente male bisogna trasportarlo da un piano all’altro, bisogna attraversare corridoi e scale e impiegare tempo, oltre che risorse in termini di agenti della polizia penitenziaria che dovrebbero scortare il detenuto nel tragitto dalla cella all’infermeria. Gli agenti in servizio all’interno delle carceri sono normalmente in sottorganico, in periodi come questo estivo dove il personale si alterna nelle ferie si arriva ad avere anche un solo agente per ogni reparto. Per non parlare del personale medico in servizio all’interno degli istituti penitenziari. Numeri risicatissimi a fronte di una popolazione detenute in continua crescita.

«Manca il medico h24 in ogni reparto – sottolinea Ciambriello – e gli ambienti in cui vivono i detenuti a causa del sovraffollamento sono estremamente angusti, senza la possibilità di usufruire della doccia più volte al giorno.  Tutto questo può provocare disagi e malori. Non è possibile che all’interno delle carceri ci siano così pochi medici generici e così pochi medici specialisti, che manchino quasi del tutto attrezzature di diagnostica, che per sottoporsi a una visita specialistica o a un accertamento un detenuto debba attendere tempi lunghissimi». È il sistema nel suo insieme che non funziona. Da alcuni anni la gestione della sanità all’interno degli istituti di pena è stata affidata alle Asl territoriali e già questo ha creato una distonia con il resto del sistema penitenziario. Si procede con passi diversi: le Asl hanno poco personale e le carceri continuano a essere riempite di detenuti. Detenuti, tra l’altro, sempre più anziani (molti, infatti, finiscono in cella a distanza di dieci/venti anni dai reati per i quali sono stati condannati a causa dei tempi biblici della giustizia), e spesso malati.

Detenuti con problemi psichiatrici o di dipendenza da sostanze stupefacenti per i quali i protocolli dovrebbe essere diversi ma nella realtà così non accade, perché mancano le strutture, manca appunto il personale. E allora il carcere diventa un girone infernale. Due detenuti su tre hanno problemi di salute, il 48% ha malattie infettive, il 32% soffre di disturbi psichiatrici, il 20% ha cardiopatie e malattie cardiovascolari. Sulla carta la soluzione ci sarebbe: pene alternative. Ma di fatto si tratta di misure sconosciute ai più, ignorate, non applicate. Un cane che si morde la coda, dicevamo. Sì perché in questo sistema di ingranaggi rotti o mal sincronizzati, c’è anche il grande vuoto della Sorveglianza, tra magistrati che non hanno mai visto di persona un carcere e magistrati talmente oberati di istanze da riuscire a rispondere con ritardi al di fuori di ogni principio costituzionale.