La settimana scorsa era stato il caso di Mario a destare scalpore e indignazione tra i garantisti e tra coloro che davvero credono nei diritti e nei principi della Carta costituzionale. E la “giustizia” era subito corsa ai ripari provando a salvare il salvabile. Il caso era quello di Mario, detenuto obeso di 41 anni, con un anno e quattro mesi di pena da scontare, tenuto in carcere nonostante i suoi 270 chili e la cardiopatia e messo ai domiciliari solo da alcuni giorni. Non era un caso isolato. E lo conferma la storia di Francesco, un detenuto di 250 chili che proprio ieri è stato trasferito nel carcere di Poggioreale.

«Il carcere non è un luogo per obesi e ammalati, ancor meno un carcere che non ha una struttura sanitaria adeguata per questi casi», tuona il garante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello, denunciando l’ennesimo episodio che mette in evidenza distorsioni, incoerenze, criticità del sistema penitenziario che finiscono molto spesso per mortificare i più elementari diritti. È infatti di ieri la notizia del trasferimento del detenuto di 250 chili e con una serie di problemi di salute non da poco. Il detenuto, dapprima recluso nella casa circondariale di Lecce, è stato portato, su disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel reparto Sai del carcere di Poggioreale. «Non capisco la logica di questo trasferimento – aggiunge il garante campano – Già è per me inconcepibile che Francesco, un uomo di 48 anni, che pesa 250 chili, che ha diverse fratture, è cardiopatico ed ha già avuto quattro infarti, stia ancora in carcere e non in detenzione domiciliare in una struttura sanitaria o ospedaliera. Ancor più inaccettabile è che adesso stia in un istituto di pena come Poggioreale».

Già, Poggioreale, il carcere vetusto e sovraffollato dove già un detenuto in salute incontra mille e una difficoltà, immaginarsi un detenuto obeso e con un quadro sanitario precario. Poggioreale, il carcere, inoltre, dove il personale sanitario scarseggia quanto quello che garantisce la rieducazione e dove anche gli agenti della polizia penitenziaria non sono in numero sufficiente a far fronte al surplus di reclusi e al deficit di personale educativo e di assistenza. Come si farà, per esempio, a garantire l’ora d’aria a un detenuto nelle condizioni di Francesco? Come si farà a coinvolgerlo in percorsi di riabilitazione? Come si farà ad assisterlo e curarlo? Quante domande aperte lascia questa storia. Ma davvero è questo il carcere con cui pensiamo di risolvere i problemi della società, ripristinare la legalità e garantire il rispetto della legge e dei diritti? Il caso di Francesco si somma a chissà quanti altri. Il fatto è che il problema è annoso e rientra tra le aberrazioni del sistema carcere da anni mai risolte.

«Troppi ammalati, anziani, detenuti con disturbi psichiatrici che riempiono le nostre carceri. Per loro dovrebbero essere pensate soluzioni diverse, misure alternative, anche in ragione del fatto che nelle carceri campane mancano medici, sia generi che specialistici, infermieri, psichiatri e psicologi. Lo Stato – sottolinea il garante Ciambriello – non può rimanere inerme davanti a storie come quella di Francesco, che merita di scontare la sua pena in maniera dignitosa e soprattutto avendo le necessarie cure e non lontano da casa, dai suoi familiari, sapendo, per esempio, che la casa circondariale di Bari ha un reparto Sai ben attrezzato e già anche collegato con il locale ospedale e con la facoltà di Medicina dell’università barese. Le strutture carcerarie, così come Poggioreale – conclude il garante – , non possono farsi carico di un caso clinico così delicato. Si corre un rischio troppo alto»

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).