Migranti, svolta di Lamorgese: chi lavora può restare

Finalmente si sta aprendo una riflessione più ampia sulla normativa che regola l’immigrazione in Italia; un complesso di istituti in parte vecchi e superati da uno scenario completamente nuovo e in parte violentati dai cosiddetti Decreti che portano il nome del senatore Salvini. È una materia molto complessa sulla quale poco nobilmente si è giocato negli ultimi due anni il consenso elettorale avvelenando i rapporti interni alle nostre comunità, con un linguaggio aggressivo e con un’ossessione della paura del diverso inoculata abilmente giorno dopo giorno; si è costantemente alimentata cioè quella che va sotto il nome di percezione dell’insicurezza. Una percezione costruita e utilizzata non per ripristinare una corretta valutazione del contesto sociale, ma al preciso scopo di alterare la realtà.

Ora che la polvere mano a mano sta cadendo, ci si rende conto della necessità di individuare soluzioni ragionevoli a un enorme problema che si è creato e che sta determinando in molte persone marginalità, frustrazione se non addirittura rancore.  Si intravedono le prime aperture a una nuova emersione, dopo l’ultima portata avanti dal governo Monti, come possibile provvedimento per l’immediato contenimento dei numeri delle irregolarità. E allo stesso tempo un’opportunità per dare una risposta alle richieste degli imprenditori di una manodopera che scarseggia soprattutto nel nord del Paese o che viene illegalmente utilizzata in alcuni settori economici del Mezzogiorno. Naturalmente qualsiasi provvedimento che possa venire incontro alle necessità e anche alla disperazione di tante persone è comunque il benvenuto.

Ma non sono convinto dell’attuale efficacia di soluzioni molto tradizionali, come quelle adottate nel recente passato attraverso gli strumenti dell’emersione o della nomina di commissari. Si era fatto un lungo e faticoso lavoro in stretto rapporto con i Comuni e con i territori per costruire una infrastruttura dell’accoglienza che non fosse costantemente travolta dalle periodiche ondate migratorie che hanno investito e che possono in futuro investire il nostro Paese. Parlo del patto interno Anci per la distribuzione in piccoli numeri sostenibili dalle comunità locali: parlo dei progetti Sprar che affidano alla responsabilità politica del sindaco la qualità del percorso di accoglienza e integrazione.

A mio avviso da qui bisogna ripartire, ridando respiro a tutti quegli strumenti di inclusione delle persone che sono sul nostro territorio a cominciare dal lavoro, perché siano una leva di sviluppo economico e non un peso per tutti noi.  Nessuna ansia di reintrodurre istituti come la protezione umanitaria né di cancellare astrattamente le previsioni normative introdotte dal ministro Salvini, ma un po’ di ragionevolezza nel rendere più ampie le categorie di coloro che possono godere di una forma di protezione nel nostro Paese.

Devono essere recuperate le situazioni individuali, e quindi concesso un permesso di soggiorno provvisorio, a tutti coloro che hanno trovato la concreta speranza di un futuro con una analisi caso per caso. Le grandi aziende del Paese potrebbero farsi sponsor delle persone che hanno intenzione di assumere e, in ogni caso, dovremmo trovare un percorso perché chi è da noi accolto abbia la possibilità di essere coinvolto in attività di pubblica utilità.

Una norma che consentisse il rilascio di un permesso provvisorio a chi già lavora da noi, o può ottenere un contratto regolare senza le complesse procedure di un emersione, aprirebbe una nuova stagione di buon senso. La lista dei Paesi sicuri e le procedure accelerate poi rappresentano uno degli elementi di più forte continuità con la politica del governo giallo-verde. Mi permetto solo di ricordare che nessuno mai prima era stato disponibile ad adottarli; credo che chi li ha firmati non avesse chiare le conseguenze che possono determinare – soprattutto per chi arriva via mare – sia sotto il profilo dei diritti che sotto quello della organizzazione di un’accoglienza nel nostro Mezzogiorno e in particolare in Sicilia.

Ben venga una riflessione onesta sull’interesse del Paese Italia; si faccia uno sforzo per non chiudersi nel recinto della difesa del proprio consenso rinunciando ad una manipolazione mediatica di cui davvero non se ne può più.