Il giorno dopo il voto in commissione Giustizia contro la Legge Costa, che comunque sarà nuovamente votata in aula il 27 gennaio, la polemica, invece di affievolirsi, cresce all’interno della maggioranza di governo che scricchiola sempre di più. Da una parte Movimento Cinque stelle, Pd e Leu, dall’altra Italia viva che si è schierata con il centrodestra per impedire, in tutti i modi, che la riforma della prescrizione continui il suo cammino.

Chi ha tradito e chi no? Qui nasce la disputa. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha accusato Matteo Renzi di «essersi isolato dalla maggioranza» ma per il leader di Italia viva non c’è nessuna rottura, «abbiamo solo difeso lo Stato di diritto». Lo scontro però è soprattutto con i vecchi amici del Pd. Il responsabile giustizia dei dem, Walter Verini, accusa: «Renzi bluffa. Italia viva ha votato con Salvini e con la destra per impedire l’avvio della riforma del processo penale che non si limita solamente alla riforma della prescrizione, ma punta a garantire il giusto processo».

Parole che non intimidiscono certo Renzi, che già in mattinata, con un post su facebook chiarisce la posizione del suo partito: «Guardiamo i fatti: c’era una legge sulla prescrizione voluta dal Pd e dal ministro Orlando. Poi sono arrivati i populisti giallo-verdi e con i voti leghisti e grillini hanno cambiato la legge eliminando la prescrizione e rendendo i cittadini imputati a vita. Un obbrobrio giuridico. Noi abbiamo votato per ripristinare la legge dei nostri Governi, cancellando le misure giustizialiste e populiste. Mi dispiace solo che il Pd abbia scelto di seguire i grillini anche su questo, andando purtroppo a rimorchio dei Cinque Stelle. Abbiamo fatto un governo insieme per mandare a casa Salvini, non per diventare grillini».

Se c’è una posizione che appare contraddittoria è quella dei dem, che su un terreno così delicato come la riforma della prescrizione hanno rinunciato a difendere, in linea con la Costituzione, il garantismo, a costo anche di andare contro le richieste e le battaglie dei penalisti. Ma non è l’unica questione su cui il Pd sembra andare dietro ai Cinque stelle, dai migranti al taglio dei parlamentari, l’agenda è quella che viene dettata da Casaleggio, mentre le bandiere del centrosinistra restano ben nascoste. Proprio nella fase in cui i Cinque stelle appaiono più in crisi, con divisioni decisive tra i leader e con un calo di consensi difficile da prevedere fino a poco tempo fa, il Pd di Zingaretti ha deciso di stringere ancora più forte l’alleanza con il partito della piattaforma Rousseau. È la questione emersa dal “conclave” dem dei giorni scorsi, che ha creato anche più di un malumore in chi non ne vuole sentir parlare di stringersi in un abbraccio mortale con i populisti.

Zingaretti fin da subito ha scelto come strategia quella di allearsi con i Cinque stelle per provare a sottrarre loro consenso, ma il risultato ottenuto finora è opposto: il Pd è l’ancora di salvataggio per un movimento che invece sta attraversando la fase più difficile da quando è nato. Zingaretti e con lui Franceschini, tra i più accaniti sostenitori dell’alleanza con Di Maio, rischiano di sacrificare la propria identità per calcoli che appaiono politicisti.

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