Giustizialismo atto secondo
Prescrizione abolita, e adesso cancelleranno l’appello
Per il Ministro Bonafede (a differenza dei suoi ben più smaliziati suggeritori e sostenitori) la prescrizione è solo una battaglia mediatica. Postulata la equazione “prescrizione = impunità dei potenti”, deve poter dire: abbiamo sconfitto l’impunità dei potenti. Né più né meno che la “sconfitta della povertà” con il reddito di cittadinanza. Infatti lo dice, e rivendica -iddio lo perdoni- un Paese divenuto più civile dal 1 gennaio 2020.
Ma è intanto cresciuta nella opinione pubblica e nel Parlamento, in questi lunghi mesi di battaglia politica, la consapevolezza o almeno il sospetto che quella equazione sia una truffa. Infatti lo è.
La prescrizione per il suo 75% libera le già collassate scrivanie di PP.MM. e Giudici da centinaia di migliaia di fascicoli per reati minori, sotto il cui peso altrimenti il nostro sistema giudiziario affonderebbe definitivamente. Una volta si otteneva questo indispensabile repulisti in modo più limpido e democratico, cioè con ricorrenti provvedimenti di amnistia dei quali almeno ci si assumeva la responsabilità politica; oggi, riformato irresponsabilmente l’istituto dell’amnistia, ci pensa la prescrizione, arbitrariamente gestita dalle Procure della Repubblica.
Non c’è un solo magistrato italiano che sarebbe disposto a vedersi privato di questa manna dal cielo, una vera e propria bombola di ossigeno per l’enfisematoso sistema giudiziario nostrano. Provate a chiederlo al Presidente dell’Anm Luca Poniz, inflessibile sostenitore di questa riforma sciagurata, e vediamo cosa vi risponde.
Se la eliminazione della prescrizione è imposta da superiori esigenze di giustizia, dal rispetto delle vittime del reato, dalla lotta contro ogni impunità, come mai di quel 75% del fenomeno ce ne fottiamo tutti bellamente, i magistrati per primi? Le vittime dei furti d’auto, reati in ordine ai quali addirittura si attrezzano istruttorie simulate, sono meno vittime, chessò, di quelle di un fumoso traffico di influenze? Per le prime non sanguina il cuore a nessuno, dott. Poniz?
Invece, la prescrizione diventa farina del diavolo appena pronunciata una sentenza di primo grado. Il P.M. decide, letteralmente, quali procedimenti far silenziosamente abortire per prescrizione, liberandosi la scrivania a propria discrezione (con tanti saluti alle vittime di quei reati), e quali far proseguire fino ad un primo giudizio di merito. Se poi, per arrivarci, si tiene in sospeso la vita dell’imputato (e con lui le persone offese) 5 o 7 o 10 anni, per sovrappiù -secondo questi illuminati uomini di giustizia e di diritto- egli deve rimanere imputato senza più un limite di tempo.
Vita natural durante, se necessario, in nome della Giustizia che deve fare il suo corso, costi (all’imputato, s’intende) quel che costi.
Qualunque persona di buon senso, debitamente informata, comprende che un sentimento elementare di giustizia imporrebbe l’esatto opposto. Se non ti sei fatto bastare un decennio o un quindicennio per pronunciarti definitivamente sulla mia imputazione, hai addirittura il dovere, etico e giuridico, di rinunziare alla tua potestà punitiva. La prescrizione opera solo se sono trascorsi questi tempi indecorosi senza una pronuncia definitiva. Ecco perché in Europa il problema non esiste: perché i processi durano quattro o cinque volte di meno, non certo perché in quei Paesi viga questo indecente principio pentastellato dell’imputato a vita!
Ed infatti i registi del giustizialismo nostrano hanno ben altro in mente.
Sanno perfettamente che questa sciagurata riforma sarà ulteriormente paralizzante, ma pensano: meglio così. Ci spiegheranno – già lo stanno facendo – che occorre ora sottrarre agli imputati il diritto di impugnazione, riducendolo ad ipotesi eccezionali, e con esso una serie di garanzie processuali, vissute come irritanti ed inutili rallentamenti del processo.
Fino a ieri ci hanno raccontato che gli imputati senza il miraggio della prescrizione non faranno più appello. Quando anche questa grottesca e stupida falsità sarà disvelata (cioè subito), diranno -già lo dicono- che bisogna proprio toglierglielo, all’imputato, il vizio di impugnare le sentenze. Che si facciano bastare le sentenze di primo grado, già fin troppo generose (poi con calma si lavorerà pure a quelle).
Il mondo che costoro sognano è quello nel quale Enzo Tortora avrebbe chiuso la sua vita da camorrista spacciatore di morte. Non è il nostro, e non deve diventare -non diventerà- quello in cui dovranno vivere i nostri figli. Questa è la vera partita che siamo chiamati tutti a giocare, la prescrizione è solo un cavallo di Troia.
Ecco perché oggi il Partito democratico, che ancora nicchia e traccheggia, confuso ed intimorito, è chiamato ad una scelta netta contro questa assurda ossessione paranoide fattasi legge. Perché la partita sulla prescrizione è in realtà la partita tra chi vuole chiudere i conti con il processo accusatorio del 1988, e chi vuole difenderlo ed anzi rafforzarlo in nome dell’art. 111 della Costituzione.
La Riforma Bonafede della prescrizione deve essere abrogata, non c’è più tempo per l’incertezza.
Gian Domenico Caiazza
*Presidente Unione
Camere Penali
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