Il caso
Milano, i sospetti sulla degenerazione della gestione urbanistica. Ma la scatola di cioccolatini è sempre meno evidente
L’ultima inchiesta giudiziaria milanese sembra distinguersi dalle precedenti per la sua ampiezza, pur mantenendo una struttura “a strati”. Il primo strato riguarda la legittimità urbanistico-edilizia. Sembra si riproponga la contestazione, già emersa in indagini precedenti, sulla disapplicazione di alcune norme, in particolare l’articolo 41-quinquies della Legge n. 1150/1942, che limita l’altezza degli edifici in l’assenza del Piano Attuativo. Il secondo strato è di natura penale. La Procura si focalizza su “l’induzione a dare o promettere utilità” da parte di costruttori a favore di membri della Commissione Paesaggio.
Il terzo strato, una creativa deduzione tratta dalle prime due contestazioni, è legato alle decisioni di competenza della città, ancor prima che delle amministrazioni locali. Si parla di un non meglio precisato fenomeno “legato ad alcuni profili di incontrollata espansione edilizia”, interpretato come un’”ulteriore conferma della degenerazione della gestione urbanistica dell’amministrazione comunale di Milano”, con “programmi e interventi di un’imponente e incontrollata espansione edilizia della città”. La prima questione è già stata ampiamente dibattuta in Parlamento dove giace il cd. “Salva Milano”, bloccato da calcoli elettorali e dall’ignavia di importanti attori politici. La seconda questione verte su presunti profili corruttivi. I pm contestano conflitti di interesse ma la famosa “scatola di cioccolatini” – come la definiva Di Pietro – è sempre meno evidente. Si parla addirittura di incarichi professionali acquisiti molto prima che gli indagati assumessero ruoli pubblici. Tuttavia, è il terzo strato a lasciare tutti perplessi, al punto da sollevare dubbi sulla fondatezza anche degli strati superiori.
L’indagine si concentra sull’operato dei membri della Commissione Paesaggio, un organo che non ha alcuna competenza sul merito della legittimità urbanistico-edilizia dei progetti, né su cosa e quanto costruire che viene determinato nel permesso di costruire seppur ottenuto con procedura semplificata (SCIA). Tali aspetti sono stabiliti dal Piano di Governo del Territorio (PGT), redatto e approvato dal comune in base alla legislazione nazionale e regionale. Come noto, il paesaggio è disciplinato dal Codice dei Beni Culturali, e alla Commissione è demandato (art. 146 del D.LGS 42/2004) il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, presupposto del permesso di costruire.Questa è una questione che, oltre ad avere un margine di discrezionalità e aleatorietà enorme, ha ben poco a che fare con quanto contestato dalla Procura, ovvero l’espansione edilizia della città, che è invece attinente alla disciplina e alla legislazione urbanistica.
Non si può non considerare come il paesaggio, prima, e l’ambiente poi, così come introdotti nella nostra carta costituzionale, abbiano relegato l’urbanistica a un livello secondario, di rilevanza inferiore rispetto agli altri due. Questa circostanza può essere riscontrata non solo nel “fumoso” tema della valutazione dell’inserimento paesaggistico, ma anche in questioni ambientali ben più concrete, come il cosiddetto “consumo di suolo”, sul quale molte regioni hanno ormai una propria legislazione che incide profondamente non solo sull’urbanistica, ma anche su un altro importante principio costituzionale: lo ius aedificandi.
Questo principio, legato al diritto di proprietà, è stato più volte nel passato oggetto di tentativi di compressione da parte della cultura dirigista nazionale, dalla famosa proposta di legge Sullo alla legge Bucalossi del 1977, che trasformò la licenza edilizia in concessione. Istituto giuridico ribaltato poi dal legislatore, a seguito di diverse pronunce della Corte Costituzionale, con il Testo Unico dell’Edilizia del 2001, quando la concessione fu derubricata a semplice “permesso di costruire”. In attesa di conoscere meglio l’evoluzione dell’inchiesta milanese, auspichiamo che la politica si unisca per difendere le prerogative e gli interessi legittimi delle città ed i suoi cittadini, ancor prima di quelli delle amministrazioni che le governano.
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