Una coazione a ripetere il modello negativo di politica, che domina ormai in Italia da molti anni. Ma forse con qualche effetto positivo. Letizia Moratti si candida a Governatore della Regione Lombardia senza avere alle spalle un partito. Nonostante questo, la sua candidatura non è considerata affatto velleitaria. Molti, anzi, la considerano una candidata vincente. Evidentemente, le possibilità di vittoria sono legate al carisma e al prestigio evocati dal suo nome. Non è questa la sede per giudicare se si tratta di un carisma e di un prestigio giustificati. Ciò che rileva è che, ancora una volta, appare decisiva, nella competizione elettorale, la figura del leader, tanto che la sua capacità personale di aggregare consenso prevale nettamente sui contenuti ideologici e prammatici del suo programma.
Ciò è così vero che non solo la figura della Moratti è stata presa in considerazione come candidata anche da alcuni esponenti del Partito Democratico, ma che hanno accettato di sostenerla i dirigenti del cd. Terzo polo, nonostante quest’ultimo si collochi a sinistra e la Moratti abbia una antica e consolidata storia politica di destra. La candidatura della Moratti, perciò, finisce con l’essere l’ennesima conferma della degenerazione in Italia della dialettica politica, che, in una società democratica matura, dovrebbe innanzitutto svolgersi sui programmi, prima ancora che riguardare la figura dei leader. La circostanza che la contesa elettorale coinvolga una regione e, anzi, la più popolosa e la più ricca regione d’Italia, impedisce di ricondurre il fenomeno a quanto avviene, ormai sempre più spesso, nelle elezioni per la carica di sindaco nelle città, in cui la conoscenza diretta da parte degli elettori della persona da chiamare ad amministrare può spiegare un ruolo decisivo nella scelta. In questo caso, la dimensione della Regione considerata indica che, con la candidatura di Letizia Moratti, si è in presenza, ancora una volta, della replicazione del modello, nato con l’esperienza di Berlusconi, dei partiti personali. I quali, proprio per tale caratteristica, non sono, al loro interno, un modello di democrazia e, quindi, poco possono contribuire a far maturare una piena consapevolezza democratica tra i cittadini.
Quale che sia l’esito della candidatura Moratti, dunque, non si tratta di una vicenda idonea a testimoniare una maggiore consapevole partecipazione democratica dei cittadini lombardi rispetto alla vita della loro regione. Sotto altro profilo, tuttavia, la candidatura di Letizia Moratti può avere un rilievo decisivo nello sviluppo in senso positivo delle dinamiche della politica italiana. Un primo rilievo positivo si è avuto nelle scelte che ha dovuto operare il Partito Democratico. Il fatto stesso che, al termine di un dibattito interno serio e partecipato, quel partito sia giunto alla conclusione che non sarebbe stato accettabile sostenere, pur di vincere, una candidata con una inequivoca e consolidata storia di destra, ha rappresentato un radicale mutamento di rotta rispetto alle esperienze degli ultimi anni. È incontestabile, difatti, che questi ultimi hanno visto quella forza politica pronta a qualsiasi compromesso pur di entrare nelle stanze del potere: basti pensare a tutto quello che il Partito Democratico ha accettato pur di governare con il Movimento 5Stelle o agli sforzi, al limite dell’indecenza istituzionale, compiuti per salvare il Governo Conte 2. In fondo, la candidatura di Letizia Moratti ha costretto il Partito Democratico a chiedersi, forse per la prima volta dopo molti anni, quali fossero il suo ruolo e la sua collocazione nella società italiana. A cercare di riscoprire, in definitiva, quale fosse la sua identità.
Ma una funzione egualmente positiva la candidatura di Letizia Moratti potrebbe avere nel centrodestra. Le cronache riferiscono che alla presentazione della sua lista ha partecipato attivamente un mondo composto prevalentemente da politici con una storia di destra, provenienti soprattutto da Forza Italia e dalla Lega. Si è trattato di una partecipazione così ampia, da poter essere la anticipazione di un vero e proprio smottamento. Del resto, sia l’esito delle ultime elezioni politiche e sia i successivi sondaggi indicano che tutte e due queste forze sono in declino e che le “uscite” propagandistiche dei loro leader non sono capaci di frenare l’emorragia. L’impressione è che si sia in presenza di un declino, che ha la sua origine proprio in quel rapporto diretto tra popolo e leader, che ne ha a lungo costituito il punto di forza per quello che concerne Forza Italia e che ha, da ultimo, contrassegnato anche la Lega, a dimensione nazionale, di Salvini. La presenza della candidatura di Letizia Moratti sembra costituire, allora, un catalizzatore capace di far esplodere l’insieme di quelle crepe, che l’edificio del centrodestra ha accumulato negli anni e che sono state alla meno peggio rabberciati dai leader.
Il successo, da un lato, dell’unico partito di destra con una articolazione organizzativa che unisce popolo e leader, e cioè Fratelli d’Italia, e dall’altro l’attacco al cuore del potere regionale lombardo, che può essere portato da Letizia Moratti, non potranno non avere, in un periodo relativamente breve, l’effetto di costringere anche le altre componenti di centrodestra ad interrogarsi sulla necessità di ricercare con i propri elettori un rapporto più solido e duraturo di quello fondato sul solo carisma delle leadership. Le elezioni della Regione Lombardia hanno, dunque, un rilievo nazionale non solo per l’importanza, economica politica e sociale, di quella regione, ma anche per l’impatto che esse avranno sulla definizione del ruolo dei partiti e del loro rapporto con gli elettori. La candidatura di Letizia Moratti farà, difatti, esplodere quelle inadeguatezze e quelle contraddizioni, che sinora sono state nascoste, ma non risolte.
