Cultura
Musei 4.0, da templi del passato a fucine del futuro
Per lungo tempo, il museo è stato concepito come un tempio. Un luogo che, prevalentemente, sottraeva gli oggetti del passato al caos del presente per custodirli in una sorta di sospensione eterna; un edificio da visitare in maniera contemplativa, con passo lento e deferenza, attraversando sale in cui la conoscenza scendeva “dall’alto verso il basso”.
Questa concezione, eredità dell’Ottocento positivista e dell’idea del museo come collezione enciclopedica, ha dominato per decenni. Il museo era un archivio del mondo, un atlante dell’umanità: straordinario, ma separato dalla vita quotidiana.
Poi qualcosa è cambiato. Prima lentamente, negli anni Novanta, con l’ingresso delle prime interazioni multimediali, poi in modo più marcato nell’ultimo decennio, quando il museo ha iniziato ad assomigliare meno a un tempio e più a una piazza. Il museo si è aperto alla città, ha cominciato a dialogare con le comunità, ha trasformato mostre e collezioni in strumenti per leggere il presente, non più soltanto il passato. L’esperienza è diventata centrale: non più soltanto ammirare, ma “fare” – imparare, toccare, ascoltare, discutere.
La rivoluzione digitale, dai dispositivi interattivi alla realtà aumentata, fino alle prime applicazioni dell’intelligenza artificiale, ha contribuito fortemente ad aprire nuove forme di accesso e mediazione culturale, grazie a tecnologie capaci di adattarsi ai visitatori e restituire loro nuove chiavi di interpretazione. Al Rijksmuseum di Amsterdam, l’AI contribuisce a ricostruire sezioni mancanti delle opere, allo Smithsonian supporta la catalogazione e l’esplorazione di milioni di reperti digitalizzati, mentre al Louvre si sperimentano assistenti conversazionali capaci di guidare i visitatori in percorsi tematici personalizzati.
Oggi il museo si sta trasformando radicalmente in un vero e proprio hub culturale e sociale, in cui convivono ricerca, formazione, divulgazione scientifica, attività didattiche, talk con esperti, residenze d’artista, sperimentazione tecnologica. È un luogo in cui le discipline si contaminano e dove la cultura diventa infrastruttura civica. Non presenta soltanto oggetti: produce conoscenza.
Nonostante siano le grandi istituzioni internazionali a dar vita a questa trasformazione (come il Centre Pompidou, che ha abolito le barriere tra arti visive, musica e design; il MoMA di New York, che integra arte, tecnologia e culture digitali, anticipando spesso i linguaggi del futuro con il suo dipartimento dedicato al design e ai media contemporanei; o la Tate Modern, che ha trasformato la fruizione dell’arte in un’esperienza immersiva e partecipativa), non si può dire che questa evoluzione nasca dal nulla: è l’ultimo capitolo di una lunga storia in cui cultura e innovazione hanno sempre camminato insieme. Dalla Biblioteca di Alessandria – dove si studiava, si discuteva, si inventava – alle botteghe rinascimentali, veri centri di ricerca ante litteram, fino al Bauhaus, che ha riconciliato arte, tecnica e industria. Ogni epoca ha avuto i suoi spazi in cui la conoscenza si faceva motore di progresso.
Ed è in questo solco che si inserisce l’imminente inaugurazione, a Fiorenzuola d’Arda, del MAE Museum, il primo museo interamente dedicato alla storia della fibra acrilica, al precursore da essa derivato e alla sua trasformazione in fibra di carbonio. Un’opera all’avanguardia, progettata da mostri sacri dell’architettura contemporanea come Carlo Ratti e Italo Rota, che raccoglie i decenni di archivi tecnici ove sono confluite tutte le tecnologie fibra acrilica sviluppate da Montefibre, SNIA ed ENI, che l’azienda internazionale MAE S.p.A. ha ereditato, salvaguardato con cura e valorizzato.
Un museo, dunque, voluto da un’azienda – o meglio, dalla visione illuminata della famiglia Rovellini, alla guida di MAE S.p.A. – che non punta alla celebrazione statica di un materiale, ma alla creazione di un laboratorio vivo, dove tecnologia, design e ricerca convergono per immaginare (e costruire) il futuro, partendo dalle radici di un racconto aziendale.
Uno spazio che si inquadra nel più ampio contesto dei musei d’impresa, che hanno il merito di trasformare il patrimonio industriale in cultura condivisa, portando il visitatore dentro i processi, le idee, le visioni che hanno reso il Made in Italy un’eccellenza riconosciuta a livello globale.
Il MAE Museum è emblema del dinamismo del nuovo ecosistema culturale italiano: racconta l’identità produttiva del suo territorio, ne valorizza il capitale umano e, come sottolinea la Direttrice Paola Rovellini (anche CFO di MAE S.p.A.), si pone l’obiettivo di diventare una piattaforma di formazione, sperimentazione e dialogo tra aziende, istituzioni e comunità.
Ci dimostra ancora una volta che l’ecosistema museale ha abbandonato la postura contemplativa della “vetrina” per rivendicare un ruolo nuovo, quasi performativo. Non più soltanto custode di collezioni, ma architettura sociale in cui conoscenza, innovazione e cittadinanza attiva si intrecciano. In una metamorfosi che sta ridisegnando la cultura a livello globale, con una rinnovata filosofia, che vede la cultura come infrastruttura di innovazione.
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