Contraria agli eccessi del Pride
No al matrimonio dei preti: in caso di incendio salverebbero figlio o altro ragazzo? Il celibato richiama amore più grande
Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sul matrimonio dei preti, le donne diacono e la benedizione coppie gay. Favorevole don Luigi Merola, parroco anticamorra di Napoli, secondo cui “non ci sarebbero tutti questi scandali e poi nella Bibbia non c’è traccia di queste rinunce“. Contraria suor Anna Monia Alfieri. “La Chiesa si è sempre riconosciuta nei dettami attuali, espressioni del Signore” sottolinea.
Qui il commento di Anna Monia Alfieri
Preti sposati, diaconato femminile, benedizioni delle coppie omosessuali sono temi delicati che, sempre più spesso, diventano oggetto di sterili polemiche e di contrapposizioni ideologiche. Temi “caldi” che accendono spesso dibattiti che volutamente non guardano alla verità e non rispettano le persone coinvolte. Il celibato ecclesiastico è una prassi della Chiesa cattolica Latina, nella della Chiesa Cattolica Orientale. A quale principio si ispira questa prassi? All’amore indiviso di Cristo.
Il sacerdote, è bene ricordarlo, nell’esercizio del proprio ministero è alter Christus e, come Cristo ha amato i suoi discepoli sino alla fine, così, con lo stesso cuore, il sacerdote è chiamato ad amare il gregge che è affidato alle sue cure pastorali. Esempio che forse potrà sembrare banale: se scoppiasse un incendio in un oratorio, il sacerdote sposato con figli chi salverebbe? Il proprio figlio o un altro ragazzo? Il celibato è, dunque, profezia, nella misura in cui esso richiama un amore più grande; ancora il celibato è libertà, è indipendenza da ogni legame terreno, è segno di dominio di sé che è presupposto e garanzia della vera libertà. Il tema del diaconato femminile è un altro tema che spesso è affrontato in un’ottica divisiva.
Gesù Cristo ha scelto i suoi apostoli, non ha certo impedito che le donne lo seguissero. Sin dall’inizio uomini e donne hanno avuto ruoli e compiti diversi all’interno della Chiesa. Questa diversità di ruoli esprime la diversità che caratterizza l’essere uomo e l’essere donna. Sul tema ritengo che quanto scritto nel documento a proposito di alcuni dubbi circa il carattere definitivo della dottrina di Ordinatio sacerdotalis, emanato dalla Congregazione per la dottrina della fede e firmato dal card. Ladaria risolva in modo chiaro e definitivo la questione: “Cristo ha voluto conferire questo sacramento ai dodici apostoli, tutti uomini, che, a loro volta, lo hanno comunicato ad altri uomini. La Chiesa si è riconosciuta sempre vincolata a questa decisione del Signore, la quale esclude che il sacerdozio ministeriale possa essere validamente conferito alle donne. Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis, del 22 maggio 1994, ha insegnato, «al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa» e «in virtù del [suo] ministero di confermare i fratelli» (cf. Lc 22, 32), «che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (n. 4). La Congregazione per la Dottrina della Fede, in risposta ad un dubbio sull’insegnamento di Ordinatio sacerdotalis, ha ribadito che si tratta di una verità appartenente al deposito della fede (…). In primo luogo, per quel che riguarda il sacerdozio ministeriale, la Chiesa riconosce che l’impossibilità di ordinare delle donne appartiene alla «sostanza del sacramento» dell’Ordine (cf. DH 1728). La Chiesa non ha capacità di cambiare questa sostanza, perché è precisamente a partire dai sacramenti, istituiti da Cristo, che essa è generata come Chiesa”.
Da ultimo, la benedizione alle nozze gay. Anche su questo fronte occorre fare chiarezza. Certamente sono contraria a qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, così come ritengo che l’omosessualità non sia né una malattia né una deviazione. Con pari certezza, però, chiarisco che non condivido tutte quelle forme irrispettose ed eclatanti di manifestazione per rivendicare diritti: mi riferisco agli eccessi che si vedono in occasione dei diversi gay pride. Ciò che può offendere la sensibilità di molti non può essere da me condiviso. Ciò premesso, sono favorevole al riconoscimento delle unioni civili per le persone omosessuali ma queste unioni civili, così come quelle tra eterosessuali, non possono essere minimamente equiparate al matrimonio cristiano che è un sacramento con il quale i due coniugi, ministri loro stessi del sacramento, si impegnano a collaborare con l’opera creatrice del Padre. Tutto qui. Si tratta di avere il coraggio della chiarezza, una chiarezza che non si presta alla polemica.
Ritengo che siano necessari grande rispetto e approfondita conoscenza per non cadere in slogan, in contrapposizioni perniciose e, soprattutto, poco rispettose delle persone. La polemica ferisce, esaspera i toni, crea divisione: la conoscenza, l’ascolto reciproco, la chiarezza, invece, contribuiscono al dialogo, atteggiamento che la nostra società, tutta concentrata su se stessa e sulla propria rivendicazione a scapito dell’altro, fatica a mettere in atto. E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.
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