Editoriali
Paolo Mieli benedice l’asse Pd-M5S, da Berlinguer a Crimi il passo è breve…
Se il primo quotidiano d’Italia, a firma di uno dei più influenti commentatori di questi decenni, cita con serietà la “piattaforma Rousseau” e “l’alleanza strutturale tra Pd e M5s” che essa ha “ratificato”, significa che a risentire del degrado in atto non è solo la decenza istituzionale e repubblicana, ma lo stesso tenore civile e democratico del Paese.
Va da sé che l’editoriale di Paolo Mieli, pubblicato sul Corriere della Sera di ieri, e da cui è tratto quel serio riferimento all’aggeggio truffaldino gestito dagli schedatori della Casaleggio & Associati, sarà da oggi e nei prossimi giorni la gemma prominente sul fusto ormai provetto del dibattitone in argomento di nuovo compromesso storico.
Il fatto che non ci siano Moro e Zaccagnini da una parte, ma Giggino e Vito Crimi, né Berlinguer e Chiaromonte dall’altra, ma – con tutto il rispetto – Nicola Zingaretti e compagnia, rappresenta un dettaglio che non impensierisce lo storico commentatore ed ex direttore del Corriere. E si potrà dire che uno mette in pentola quel che trova in dispensa, e se c’è poca roba, e neanche ottima, ci si accontenta. Ma è proprio così? A noi, che siamo dei poveretti senza dottrina, pare che non sia così.
Perché c’è un altro punto di vista che, per quanto bifolco, mira a qualche questioncella non proprio trascurabile nello scenario in cui dovrebbe compiersi “l’alleanza strutturale” di cui serissimamente si discute presso i circoli dell’informazione che conta. E si tratta di questo: che il Movimento 5 Stelle non rappresenta un vago complesso populista da istruire nel canone democratico, ma una originaria e ben formulata cultura di stampo neofascista, con non irrilevanti fregi di tipo neonazista che non dovrebbero essere giudicati con noncuranza giusto perché agghindano solo sporadicamente la prosa di quei pericolosi analfabeti.
Non ostanti i leggiadri svolazzi di Giuliano Ferrara, che si diverte a spiegare agli imbecilli (tutti tranne lui e i suoi boys), che i 5 Stelle sono cambiati, è piuttosto vero che sono loro ad aver cambiato il Paese, o almeno ad averne contaminato il residuo decoro nel trionfo di una pratica illiberale che ha seminato violenza antidemocratica e arretratezza in ogni campo: in quello dell’economia governata dalla nazionalizzazione, dal sussidio e dal calmiere; in quello della giustizia uniformata alla direttiva della reazione giudiziaria; in quello dell’azione istituzionale ispirata alla derelizione del potere rappresentativo, con l’avvocato del popolo officiato a concedersi in visita a capriccio; infine, nel campo dei rapporti tra Stato e cittadino, minuzie piccoloborghesi perché se tre mesi di coprifuoco sospendono le libertà costituzionali tu vedi di infilarti mascherina e guanti “e non rompere i coglioni” (sempre Il Foglio).
Che questo andazzo fosse e continui a essere inevitabile è proprio tutto da dimostrare. Perché qui – e torniamo al Corriere, che ammaestra il Pd alle regole del buon compromesso con gli statisti di Beppe Grillo – qui non siamo nemmeno al realismo che suggerisce di tener buona quella banda di scappati di casa preparando le condizioni della loro emarginazione: qui siamo a un’evoluzione diabolica di quel realismo, che non soprassiede a un disastro momentaneo ma ne architetta uno durevole e ne consacra la dignità.
Auguroni.
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