Giorgia Meloni, intervenendo al congresso nazionale della Cisl, ha messo in chiaro che l’Italia non può più permettersi divisioni sterili: «Serve un Patto di responsabilità tra istituzioni, imprese e lavoratori per affrontare un’epoca difficile e piena di sfide». In un mondo agitato da conflitti, da tensioni economiche globali e da una feroce corsa all’innovazione, la premier ha colto l’occasione per rispondere con nettezza all’appello lanciato dalla nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola. Ha parlato di coesione, di impegno condiviso, di fiducia da ricostruire tra le forze vive del Paese. E, per una volta, non erano solo parole rituali.

In quel congresso, infatti, si è compiuto un atto politico vero. La Cisl ha posto al centro la parola più scomoda del nostro tempo: responsabilità. Niente slogan, niente barricate. Solo la consapevolezza che lo sviluppo non può nascere senza un patto tra le parti, senza un’alleanza concreta tra chi governa e chi lavora. La proposta di Fumarola non è un gesto simbolico, ma un’invocazione lucida al buon senso: rimettere il lavoro al centro, puntare su merito, produttività, partecipazione. Tutti concetti fuori moda per chi campa sul conflitto.

Per la Cisl, invece, la contrattazione non è un’appendice. È il cuore pulsante dell’impegno sociale. È lo strumento per valorizzare i talenti, coinvolgere chi produce, dare gambe a una nuova stagione di crescita. È questo il DNA cislino: non negare il conflitto, ma superarlo in nome di un interesse generale più ampio. Una visione adulta, concreta, generativa. Tutto l’opposto di ciò che offre oggi una parte del sindacalismo italiano, incatenato a ideologie stantie e posture autoreferenziali. Quando il leader della Cgil, Maurizio Landini, rifiuta qualsiasi confronto con il governo, non fa sindacato: fa propaganda. Sceglie la sterile opposizione ideologica, la piazza contro il tavolo, il no per principio contro il sì ragionato. Ma un sindacato che non tratta, che non entra nel merito, che non si misura con la complessità, diventa irrilevante. Megafono di rabbia, ma senza forza negoziale.

Anche per questo i salari italiani sono al palo. Non perché manchino leggi, ma perché mancano relazioni industriali mature, fondate su obiettivi condivisi e responsabilità reciproca. Dove non si contratta seriamente, i lavoratori restano soli, e le imprese navigano senza bussola. La rappresentanza si svuota, la sfiducia cresce, il Paese rallenta. Il Presidente Mattarella, nel suo messaggio al congresso, lo ha detto con fermezza: partecipare è assumersi il compito di costruire, non limitarsi a protestare. È la chiave per restituire dignità al lavoro e credibilità alla democrazia sociale. Non c’è spazio, oggi, per infantilismi ideologici o vittimismi rituali.

La Cisl sceglie invece la via difficile ma necessaria. Non si mette in mostra, non agita bandiere per farsi notare. Si sporca le mani. Cerca soluzioni, costruisce ponti, ricuce legami. E lo fa con la forza tranquilla di chi ha scelto il lavoro vero, quello del cambiamento. L’Italia – se vuole davvero ripartire – ha bisogno esattamente di questo.

Raffaele Bonanni

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