Piena assoluzione per Bazoli, ma smontato lo scandalo i giornali restano in silenzio…

Dai giornali che avevano dato grande e ripetuta evidenza al rinvio a giudizio di Giovanni Bazoli poco è stato scritto dopo la piena assoluzione per “non aver commesso il fatto” per il reato di illecita influenza in assemblea e perché “il fatto non sussiste” per l’ostacolo all’Autorità di Vigilanza. I fatti si riferiscono a un’assemblea di Ubi banca, di cui Bazoli era stato Vice Presidente, tenuta circa sette anni fa per la quale erano stati ipotizzati presunti reati per 30 esponenti, 29 dei quali sono stati assolti e/o prosciolti per intervenuta prescrizione. L’assoluzione è stata decisa dal Tribunale di Bergamo dopo che la Procura aveva chiesto condanne da otto mesi a sei anni (dei 30 esponenti l’unica condanna irrogata – a un anno e sei mesi – riguarda l’ex presidente del consiglio di gestione della Banca).

Chi conosceva da tempo Bazoli non aveva mai dubitato della sua integrità. Ma egli ha ragione di sottolineare, accanto all’apprezzamento dell’autonomia del Tribunale giudicante, lo sconvolgimento della vita patito per sette anni. Quanto alla stampa, siamo alle solite: il rinvio a giudizio, se non addirittura le indagini, costituiscono la notizia. Ciò che avviene dopo, archiviazioni, assoluzioni, proscioglimenti, interessa molto meno, anche se tocca profondamente la vita dei cittadini. Certo, si dirà, questa è la fisiologia del processo (non certo per la sua durata anomala) che mira all’accertamento della verità. Ed è bene che vi sia una pluralità di organi che corregge gli errori, a volte marchiani, delle iniziali incolpazioni. Ma, soprattutto in un campo complesso e delicato, qual è quello finanziario, occorre una svolta nell’organizzazione e nella competenza, innanzitutto del ramo inquirente. Occorre un irrobustimento delle professionalità che riduca pure la dipendenza da consulenti vari quando addirittura questi non siano funzionari delle stesse Autorità di controllo che, nel processo, possono svolgere un diverso ruolo, da parti civili a comunque esercenti una funzione di collaborazione con l’accusa.

Ma nella vicenda in questione abbiamo anche letto iniziali inopinate dichiarazioni colpevolizzanti di presunti esperti i quali, per primi, oggi dovrebbero fare autocritica, se non altro per la loro credibilità. Bazoli ha alle spalle un nutrito cursus honorum, da quando, su richiesta dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, assunse la presidenza del Nuovo Banco Ambrosiano, frutto dell’estinzione del vecchio Banco di Roberto Calvi finito in dissesto per il suo coinvolgimento nelle vicende della P2 e della delinquenza organizzata. Quella fu una fase assai delicata della vita del Paese sotto le minacce di poteri occulti che pochissimi anni prima avevano scatenato un attacco, con le commistioni con gruppi politici ed economici, contro la Banca d’Italia di Baffi e Sarcinelli, facendo sì che una parte deviata della Magistratura inquirente li incriminasse per reati palesemente inesistenti (Sarcinelli fu addirittura arrestato), salva, poi, la netta correzione con la piena assoluzione dei due uomini di Stato verso i quali il Paese ha ancora un debito ideale.

Con rigore, esperienza e competenza Bazoli ha portato quell’entità iniziale a crescere progressivamente con una serie di acquisizioni e aggregazioni fino a diventare, trasformata in Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana, con l’apporto di saperi e professionalità che, da Presidente, ha saputo scegliere e valorizzare nonché con la collaborazione delle Fondazioni e, innanzitutto quella del leader del settore, Giuseppe Guzzetti. Bazoli, che è stato un docente universitario, è spesso intervenuto sui temi dell’assetto dell’economia, sostenendo, antesignano, la linea dell’esigenza di un “capitalismo temperato”, verso il quale oggi cominciano a orientarsi nel mondo anche grandi associazioni imprenditoriali, come di recente è avvenuto negli Usa. Più volte il suo nome era stato fatto per un impegno diretto in politica (da ultimo, nell’Ulivo), ma Bazoli vi ha sempre rinunciato per la necessità di continuare, con autonomia intellettuale, il proprio impegno nel mondo bancario con uno sguardo costante non solo alla crescita di valore per gli azionisti, ma anche agli interessi generali.

La sentenza del Tribunale di Bergamo induce anche a riflettere sul reato di ostacolo all’attività di Vigilanza sul quale non si è ancora formato un solido indirizzo giurisprudenziale. Ma già ora può sostenersi che bisogna distinguere tra ciò che è vero ostacolo da ciò che l’ispettore o chi comunque controlla non abbia individuato, mentre era nelle normali possibilità il disvelamento. Non tutto può essere, insomma, con leggerezza attribuito a questa ipotesi di reato. In definitiva, dalla sentenza di Bergamo può scaturire non poco su cui riflettere.