Il Policlinico federiciano, nella riunione di venerdì con i capi dipartimento e con i presidenti dei corsi di specializzazione, si occuperà anche dei consigli che il professore Mario Santangelo ha indirizzato ai colleghi universitari dalle colonne del Riformista. Suggerimenti dell’ultimo assessore regionale alla sanità che lavorò con il primo commissario straordinario. Partendo dall’esperienza del Coronavirus, Santangelo propone alle università medici “flessibili”, ossia pronti per eventuali emergenze.

«Ne parlerò con i colleghi – avverte Maria Triassi, direttrice del Dipartimento di Sanità pubblica – perché la valutazione di Santangelo merita attenzione. Non credo che ogni laureato in medicina debba sapere lavorare in una terapia intensiva o in un centro di sub-intensiva, ma sicuramente la laurea in medicina e chirurgia impone ai medici un’adeguata preparazione all’emergenza e alla medicina di urgenza. Santangelo si riferiva al corso di laurea e non alla specializzazione e ha centrato il problema. Dopo la laurea siamo medici e ognuno deve sapere assistere una donna che deve partorire o prestare soccorso a un infartuato o a un ferito».

Pronti al sacrificio, medici e infermieri durante l’emergenza Coronavirus non hanno badato a orari garantendo prestazioni di qualità. «In quella fase – ammette Triassi – sono emerse problematiche particolari alle quali non tutti erano abituati perché nel tempo le abbiamo trascurate. Un evento come la pandemia da Coronavirus, al di là dell’aspetto terapeutico, comporta una serie di manovre particolari alle quali magari non siamo abituati. Un laureato in medicina e un infermiere devono saper usare le barelle di biocontenimento, per loro dovrebbe essere naturale l’uso dei presidi individuali di protezione. Il Coronavirus ci ha fatto aprire gli occhi. Dopo la spagnola e l’influenza del ’57 possono arrivare altre epidemie: chiederò ai colleghi che per le attività pratiche venga ripensato il corso di laurea in medicina e in infermeria».

Il lockdown rappresenta ancora un castigo per gli atenei per i quali continua la quarantena. «Questo è un problema serio per docenti e studenti, sentiamo tutti la necessità – spiega la docente – di un rapido ritorno alla didattica in presenza che permette a tutti di lavorare meglio». Nel Policlinico Vanvitelli Fortunato Ciardiello, ordinario di Oncologia medica e presidente della scuola di medicina, offre una prospettiva diversa.

«Non mi entusiasma l’idea di medici “flessibili”. In un mondo sanitario molto tecnologico è importante l’interazione con il paziente. Un medico deve sapere ascoltare il malato, rispondergli nel modo più corretto e visitarlo con umana professionalità. Una specializzazione garantisce la competenza del medico in quel settore, ma un laureato in medicina non può lavorare, in caso di emergenza, in una terapia sub-intensiva. Così si rischia di tornare al vecchio medico condotto». Dieci anni di commissariamento e il blocco del turnover hanno allargato brutalmente la forbice Nord–Sud.

«La collega di Bologna che si chiese cosa provoca quella strana polmonite – ricorda Ciardiello – con un’ottima diagnosi differenziata ha individuato il primo caso di Coronavirus in Italia. Al momento il governo, assicurando fondi in aggiunta al finanziamento ordinario, può farci superare i problemi provocati dal commissariamento: negli ultimi anni abbiamo realizzato importanti miglioramenti in campo oncologico, non servono medici “flessibili” perché con l’arrivo di medici e infermieri la nostra sanità può crescere molto».