Politica inerte e tribunali lumaca: così lo Stato perde la sua credibilità

La vicenda delle dimissioni del sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, e dell’esecuzione dell’ordine di demolizione disposto dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere riporta al centro del dibattito questioni di sistema che peraltro sarebbe fondamentale che tornassero ad animare di contenuti effettivi agende politiche e campagne elettorali.

Il gesto del primo cittadino di Casal di Principe non è solo forte, ma esemplare: esso non è catalogabile, infatti, come protesta di un potere o di un comparto pubblicistico contro un altro, piuttosto ascendendo a una coerente accusa contro lo Stato-organizzazione da considerare in modo – diremmo finalmente e necessariamente – unitario.  Ciò che avvilisce, infatti, l’efficacia del diritto pubblico, la sua effettività, la sua coerenza, la sua credibilità agli occhi dei cittadini, è la mancanza di una visione integrata del bene pubblico che è sempre, in ultima analisi, frutto di buona politica, cioè di compromesso o, se si preferisce, di bilanciamento di interessi, spesso tutti di rilievo costituzionale ma fisiologicamente contendenti.

In questo caso, la schizofrenia deriva dal fatto che l’attuazione delle leggi in materia di tutela degli assetti urbanistici, storico-culturali e paesistici (in soldoni: la demolizione di manufatti abusivi) si è abbattuta su nuclei familiari disagiati senza che un’alternativa abitativa sussistesse. Non si tratta soltanto di un cattivo coordinamento tra diversi livelli di potere dello Stato e delle sue articolazioni territoriali (i Comuni, per esempio): a monte, sono evidenti le carenze strutturali del sistema, carenze normative (le leggi urbanistiche devono farsi carico dell’aspetto delle esigenze abitative di territori disagiati e di nuclei familiari privi di abitazione), carenze organizzative (della giurisdizione e della sua fase esecutiva: nella vicenda di Casal di Principe l’attuazione del giudicato penale è arrivata con anni e anni di ritardo, ravvivando l’atavica percezione meridionale della mano della giustizia come calcio crudele e arbitrario del caso, poiché intanto il reato s’è fatto remoto nel tempo e nella memoria mentre l’esigenza abitativa di tutti i giorni s’è consolidata e, pur erroneamente, ha dato luogo ad aspettative di legittima prosecuzione dell’occupazione dell’immobile abusivo).

Vi è poi anche il difetto, a valle, di forme più strutturate di dialogo tra istituzioni. Non conosco le ragioni per cui la Procura abbia negato la richiesta di proroga dell’attuazione dell’ordine di demolizione avanzata dal Comune né so quali siano stati i tempi di avvio della procedura e di preavviso, dunque, dell’eliminazione del manufatto: di certo, le famose, ripetutamente evocate cabine di regia, atte ad applicare le norme facendosi carico del caso concreto com’è nella natura del potere diffuso degli enti locali, dovrebbero essere la priorità dei Ministeri competenti e di quelle Regioni, come la Campania, dove endemico e strutturale è il fenomeno della presenza di moltissimi immobili abusivi destinati, a seguito di accertamenti definitivi, a essere distrutti.

In quest’ottica di sistema che non fa sistema, anche quando è di fronte a profili costituzionali essenziali, quali sono la tutela del territorio e il diritto all’abitazione, fa specie anche l’ulteriore carenza di fondi necessari a demolire. Sappiamo che si tratta di costi ingenti e che, dalle dichiarazioni sul punto del sindaco dimissionario, essi sono coperti in minima parte dalle risorse finanziarie all’uopo stanziate dallo Stato. L’amarissima conclusione di questa vicenda – che deve spingere la politica e noi elettori a ricercare e pretendere, rispettivamente, miglioramenti effettivi e seri alla nostra vita pubblica, in questo radicandosi il vero riformismo liberale che ci serve oggi come l’ossigeno – è che il trionfo della legalità del caso concreto, ancora una volta, rischia di colorarsi delle tinte sinistre di un arbitrio capriccioso ai danni degli ultimi.