"Silete Theologi in munere alieno"
Quei filosofi (un po’ provinciali) che vogliono insegnare medicina…
Se proprio si vuole assaporare qualcosa di sovietico nella questione dei vaccini, non è certo nei foglietti verdi richiesti per circolare che essa si rintraccia. Dell’impero dell’est, quello che sta tornando in vita è semmai il vecchio, malandato Diamat, che oggi si propone a media unificati secondo una versione biopolitica coltivata nel cuore teorico del nord-est. Infatti solo a una qualche variante italica (e quindi con una venatura provinciale) della filosofia poteva venire in mente di ingaggiare con gli scienziati una disputa per indicare loro il Vero.
E i medici, che rispondono punto per punto a degli spaesati scolari di un Hegel redivivo che si sono convinti di possedere una enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (insomma: la Krisis finalmente riassorbita dalla Totalità del pensiero positivo bio-teologico), avrebbero fatto molto meglio a risolvere la disputa limitandosi a riformulare il celebre monito di Alberico Gentili recuperato anche da Schmitt: “Silete Theologi in munere alieno”. (tacete, teologi, sugli argomenti che non vi riguardano, traduzione del redattore). In termini esortativi analoghi si espresse anche Copernico che intimava appunto il silenzio della metascienza della teologia in nome dell’autonomia della scienza che parla solo il linguaggio tecnico della matematica.
I virologi avrebbero dovuto semplicemente invitare i bioteologi odierni a tacere attorno a questioni che non sono di loro competenza. La forma del talk dà di volta alle menti e, saltellando da un divano all’altro, è facile per chi diviene l’icona della legge televisiva arrivare a persuadersi di tenere in tasca l’intero scibile. Nessuno statuto scientifico speciale più esiste, Gruber o Berlinguer sono le post-moderne accademie delle scienze che autorizzano a svolazzare su tutti i misteri del creato. Questo è il vero nichilismo contemporaneo. E’ la dittatura del relativismo della chiacchiera, altro che biopotere che comprime le libertà in nome dello stato di eccezione.
La questione del rapporto tra tecnica e politica l’affrontò in maniera del tutto trasparente già Marsilio da Padova e c’è poco da aggiungere alle sue parole. “Il medico offre un parere tecnico sulla salute fisica degli uomini senza detenere nei loro confronti alcun potere coattivo”. Il comitato scientifico consiglia, il potere politico decide con minore o maggiore efficacia. Nulla di nuovo è accaduto e nessun simbolo autoritario e repressivo si rintraccia nel governo democratico della situazione di emergenza sanitaria.
Bene ha fatto il presidente Mattarella, con il suo implicito “No Max”, a impartire una vera e propria lezione di filosofia del diritto. Non esiste, entro una convivenza politicamente organizzata, la libertà di violare il corpo altrui. Rivendicare la (sia pure ipotetica) libertà di contagiare gli altri, e di determinare una infinita situazione di pandemia, non è propriamente un diritto. Sarebbe un diritto folle quello di minare la salute pubblica (e dunque l’economia, la scuola, il divertimento, lo sport), e già Rousseau spiegava che la follia non costituisce mai diritto.
Dai tempi di Hobbes la modernità politica stabilisce un nesso ineludibile e fondativo tra il sovrano e la vita. Costituisce infatti la ragione istitutiva dell’artificio politico lo sforzo pattizio per costruire con il diritto sanzionabile il rimedio alla paura, alla minaccia che grava sul corpo e rende vulnerabile la sua sicurezza immediata. Il grande conservatore della vita, che è lo Stato legale-razionale, verrebbe meno alla sua stessa ragion d’essere primaria se consentisse, entro un territorio ricoperto con lo scudo del sovrano, di morire di morte procurata da un altro corpo che rifiuta la reciprocità dell’immunizzazione in nome di una aporetica sovranità privata di gestire il rischio che ricade non solo sull’Ego ma anche sull’Alter.
Neanche l’Unico di Stirner rivendicherebbe mai sensatamente la assurda libertà di poter nuocere alla esistenza corporale altrui senza l’assunzione del dovere di limiti ragionevoli per cui le licenze individuali si arrestano nella sfera esterna quando possono distruggere le condizioni basilari del vivere in comune. Nemmeno può essere invocata la tolleranza di altri soggetti che consentono al portatore potenziale di minaccia virale di frequentare fabbriche, uffici, luoghi pubblici, studi televisivi. E’ infatti in gioco una questione pubblica, e nessun accordo tra privati può negoziare limitazioni e deroghe speciali. I cultori della “Italian Theory” rivendicano una originaria estraneità al problema della sovranità che li conduce pericolosamente verso la condivisione di argomenti che risuonano nelle piazze della ribellione selvaggia.
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