Un appello alla consapevolezza
Rendiamoci conto: Michele Bellini e l’urgenza di una difesa comune per salvare l’Europa
Il 10 novembre 2011, nel pieno della crisi del debito sovrano, Il Sole 24 Ore lanciava un titolo destinato a imprimersi nella memoria collettiva: Fate presto. Un grido in corpo 72 che, più di qualsiasi analisi tecnica, seppe restituire il senso di urgenza di un Paese – e di un intero continente – sull’orlo del baratro.
Non era soltanto un appello rivolto ai governi o ai mercati: rappresentava la sintesi drammatica di una consapevolezza condivisa. Il tempo dell’indecisione era finito. Oggi, a oltre dieci anni di distanza, quel richiamo torna ad ardere. Il pericolo ha cambiato volto, ma la posta in gioco è altrettanto cruciale. Non è più la moneta unica a essere in discussione, bensì l’idea stessa di Europa come soggetto politico credibile. È su questo bivio che interviene il saggio di Michele Bellini, Rendiamoci conto. Senza difesa non c’è più l’Europa (Castelvecchi, 2025). Un testo limpido e necessario, che analizza con rigore l’urgenza di dotare l’Unione di una vera difesa comune. Non per invocare la corsa agli armamenti, ma per riconoscere una verità rimossa: senza capacità di autodifesa, la sovranità europea non esiste.
Michele Bellini non scrive per spaventare né per cercare il consenso facile: il suo approccio è sobrio, quasi disincantato, e si fonda sulla forza dei fatti. Con stile misurato ricostruisce come la questione militare sia stata a lungo il grande rimosso del progetto europeo. Sì perchè, detta francamente, la difesa è rimasta un nervo scoperto: trascurata per convenienza, rinviata per timore, delegata – di fatto – alla protezione del cosiddetto “ombrello americano”. Eppure oggi, con un conflitto armato ai confini orientali e una Nato in cerca di rilancio, quell’inerzia mostra tutta la sua fragilità. L’Europa non può più permettersi di restare un’unione economica esposta e dipendente. Deve scegliere se rimanere marginale o diventare finalmente un soggetto politico pienamente autonomo. In questa prospettiva, la difesa non è un capitolo tecnico riservato agli addetti ai lavori. È una questione esistenziale. In gioco non c’è solo la sicurezza dei confini: c’è la tenuta democratica, la capacità decisionale e la credibilità dell’intero impianto europeo.
Come scrive efficacemente Arancha González (preside della Paris School of International Affairs presso Sciences Po) nella prefazione al volume, “l’Europa, sola e impreparata davanti al cambio di direzione degli Stati Uniti e all’aggressività di Putin, sta imparando un’amara lezione: mai dare per scontate pace e democrazia”. Oggi l’Unione è chiamata a occuparsi in prima persona della propria sicurezza, colmando un ritardo che si è accumulato negli anni. Tuttavia, mentre lo scenario geopolitico si trasforma a una velocità senza precedenti, l’opinione pubblica – e in particolare quella italiana – fatica ancora a cogliere la portata storica del momento. Il libro, osserva González, è un invito ragionato a prendere atto che il mondo come lo conoscevamo non esiste più. E che nell’ordine nuovo, la difesa comune non è un’opzione ideologica, ma la condizione necessaria per tenere insieme integrazione, democrazia e welfare.
Il merito del libro, tuttavia, non si limita alla chiarezza dell’analisi. L’autore, infatti, colloca il presente in un orizzonte lungo. Si richiama alla visione di figure come Altiero Spinelli, Jacques Delors e Beniamino Andreatta. Uomini che avevano immaginato un’Europa politica, dotata di volontà, istituzioni e strumenti. E che oggi appaiono straordinariamente attuali. Il progetto di una difesa comune, infatti, non è stato rimosso per caso. Ha sempre fatto paura. Tocca le sovranità, smaschera le fragilità identitarie, costringe a una reale condivisione del potere. E ha trovato ostacoli nei governi nazionali, ancora troppo legati a logiche di primato. In questo gioco di egoismi, l’Europa ha pagato – e sta ancora pagando – il prezzo dell’immobilismo.
Oggi, però, quel rimosso non è più sostenibile quindi il tempo del rinvio è finito. Continuare a fingere che la sicurezza non ci riguardi significa esporsi a rischi ben più grandi.
Il titolo stesso del libro – Rendiamoci conto – va letto con attenzione: non è una denuncia gridata ma un invito a prendere coscienza. Ed è proprio in questa consapevolezza che risiede la sua forza più profonda. Oggi, come nel 2011, non manca la soluzione. Manca la lucidità per vederla.
In questa direzione, il saggio può essere letto anche attraverso la lente della filosofia. Il verbo “rendersi conto” richiama la riflessione di Bernard Lonergan, secondo cui la consapevolezza è l’atto che trasforma il sapere in scelta. Per Lonergan, conoscere non basta. Solo quando si assume la responsabilità di ciò che si è compreso si genera vera libertà. È lì che il pensiero si fa azione, ed è lì che può nascere la politica autentica. In quest’ottica, Rendiamoci conto non è soltanto il titolo di un saggio ma – per estensione – un passaggio culturale e politico che va attraversato con discernimento. L’Europa deve smettere di guardare altrove bensì deve guardarsi dentro, e decidere se continuare a sopravvivere o iniziare finalmente a vivere da soggetto politico.
Chi oggi rifiuta di vedere rischia, domani, di non avere più nulla da difendere.
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