Riforme al ribasso, ma ora vanno condotte in porto

La proroga della sospensione del Patto di stabilità per il prossimo anno bilancia solo apparentemente quello che impropriamente è stato definito come “vincolo esterno” costituito dalle Raccomandazioni di primavera per il nostro Paese emanate dalla Commissione Ue. In effetti, la proroga, che si doveva ritenere ormai scontata, è seguita poi dall’avvertimento sull’esame, da parte di Bruxelles, della spesa che sarà compiuto nel 2023 e dall’affermazione, da parte di un esponente della Commissione, che essa non significa affatto “liberi tutti”. Le Raccomandazioni muovono dalla valutazione o comunque sono riassumibili nel giudizio sulla ricorrenza di “squilibri eccessivi” – riguardanti, in particolare, il debito, la spesa corrente, la crescita, i mercati – che non vengono, però, colpiti con l’avvio di una procedura di infrazione perché il Patto, con tutto quanto vi è connesso, è ancora sospeso, come si è testé detto.

Ci si chiede ora se la rappresentazione di tali squilibri e dell’urgenza di portare a compimento le riforme connesse al Piano nazionale di ripresa e resilienza, o comunque a latere di esso, sia un “assist” per il Governo Draghi. In effetti, da un lato, le Raccomandazioni costituiscono una spinta per l’avanzamento delle riforme, visto il collegamento tra di esse e la corresponsione della prevista quota dei fondi del Next Generation Eu: corresponsione che, nell’eventuale inosservanza del processo riformatore, non avverrebbe. Dall’altro lato, però, esse sono conseguenza di una realtà che non ha compiuto significativi progressi, tanto da evocare, da parte di alcuni, il “vincolo esterno”, di cui si è parlato per molti decenni prima dell’adesione all’euro, con riferimento al ruolo svolto dal cambio e dalla stabilità della lira in un’economia che non mostrava atteggiamenti virtuosi.

Con la partecipazione che, secondo alcuni, si tradurrebbe nell’esercizio condiviso di una sovranità a livello europeo, il concetto del vincolo esterno, con quel che di pedagogico se non di costrittivo esso rappresenta, dovrebbe essere superato. A maggior ragione in presenza, oggi, del Governo dei cosiddetti Migliori (o non è più così?). Diversamente, perché non ritenere un assist al governo Berlusconi la lettera dell’agosto 2011 a firma Trichet-Draghi sulle misure da introdurre per far sì che la Bce potesse continuare a sottoscrivere titoli pubblici italiani? In ogni caso, ora l’Esecutivo deve affrontare la necessità di condurre a conclusione l’iter delle riforme della concorrenza, del fisco e della giustizia, oltre a quella degli appalti e ad altre iniziative minori. Le riforme, rispetto all’originaria versione, sono state ampiamente rimaneggiate. Concessioni balneari e catasto, rispettivamente per la concorrenza e per il fisco, sono i due puncta dolentia.

La soluzione, in buona parte trovata per il catasto, richiede un atteggiamento pragmatico da parte delle forze di maggioranza, ma pure da parte del Governo, essendosi dimostrata in questi mesi l’impossibilità di riforme organiche, di svolta, per i problemi del consenso. Il livello è, dunque, sceso. Ora si tratta di condurre in porto la ridotta rivisitazione: dunque, meccanismi compensativi per coloro che vedranno cessare la propria attività in concessione vanno doverosamente previsti. Ma detto ciò e senza escludere l’esigenza di un piano per i prossimi mesi raccordato il Pnrr, va considerato il molto probabile mutamento nella guida della politica monetaria con la fine del “quantitative easing”, a giugno, e con il previsto avvio, a luglio, della risalita dei tassi di riferimento.

Si pone, dunque, il problema del raccordo tra politica economica e di bilancio, a livello europeo e di singoli Paesi, e politica monetaria, pur nel rispetto delle reciproche autonomie. Ma, visto il modo in cui le istituzioni comunitarie hanno esercitato, in osservanza delle norme vigenti, il loro mandato emanando le Raccomandazioni anzidette, c’è ora da chiedersi quali siano le aspettative e le richieste dei singoli partner nei confronti di tali istituzioni in un processo che non può non essere biunivoco, se non si vuole che si traduca in una subalternità a livello nazionale. E qui viene in rilievo, in particolare, la partecipazione parziale comunitaria ai debiti e ai rischi: un tema che trova opposizione nei Paesi cosiddetti frugali, ma è ineludibile se si vuole corrispondere a un vero processo di integrazione e se non si vuole rinnovare, sotto mentite spoglie, la politica di austerity che ha fatto enormi danni, in questi anni, all’Unione e ai singoli Paesi.

Diversamente, non si farebbe altro che incoraggiare, pur non volendolo, la linea del “liberi tutti”. Non può continuare la segnalazione di rischi, come nel caso del settore bancario – del quale a Bruxelles si vede positivamente come ha reagito alla crisi, ma si teme quel che potrà succedere quando verranno meno garanzie e aiuti pubblici alla clientela – e poi insistere in misure che a volte contrastano con i principi di ragionevolezza, adeguatezza e la proporzionalità, mentre nulla si fa per un’unificazione delle diverse giurisdizioni in materia, come l’Abi e il suo presidente, Antonio Patuelli, spesso richiedono.