Sui social è iniziato da qualche giorno il linciaggio del leghista Roberto Cota. Che oggi è fuori dalla ribalta politica, ma è stato qualche anno fa un personaggio di prima fila. Per quattro anni ha fatto il governatore del Piemonte. Poi è finito sotto processo per la storia dei rimborsi ai consiglieri regionali. Sul suo nome fu costruito lo scandalo “delle mutande verdi”, una espressione riferita all’acquisto di articoli di vestiario coi soldi pubblici e al colore verde della Lega. In realtà Cota è stato del tutto assolto dalle accuse, in primo grado, poi condannato in appello con una sentenza che è stata cancellata dalla Cassazione. Non è – come vorrebbe Davigo – uno che l’ha fatta franca: è un esponente politico che ha pagato un prezzo altissimo al protagonismo della magistratura. Prima o poi dovremmo convincerci di questo: se uno viene trascinato nel fango da un Pm e poi risulta innocente, può a ragione considerarsi un perseguitato dalla giustizia.

Stavolta però Cota viene linciato per una ragione curiosissima: sua moglie. Che ha combinato la signora? È un giudice. Ha avuto una limpida carriera come Gip e come giudice ed ora è al tribunale di sorveglianza di Milano. E le è capitato di dover giudicare sulla richiesta di scarcerazione di un detenuto (Domenico Perre) al quale restava un modesto residuo di pena da scontare e per il quale i medici avevano certificato l’incompatibilità con la vita carceraria. Lei, insieme altri due sue colleghe e a un suo collega, ha deciso di accogliere la domanda sulla base del codice penale (sempre quello scritto da Alfredo Rocco ai tempi di Mussolini, non da un gruppetto di scalmanati garantisti liberali troppo umanitari…). Apriti cielo.

Si è realizzata la perfetta convergenza tra destra e sinistra. Maurizio Gasparri ha reso noto il nome della magistrata e ha chiesto addirittura la sua radiazione da parte del Csm. A quel punto si è scatenata una macchina di propaganda di sinistra e Cinque Stelle che ha iniziato a inveire contro il leghista. «Ecco qui chi sta dalla parte dei mafiosi – hanno iniziato a gridare – la giudice, quindi suo marito leghista, quindi Salvini e magari anche Meloni».

Difficile a questo punto trovare qualcuno che difenda Cota e soprattutto che difenda la dottoressa Rosanna Calzolari ( è il nome della moglie: avremmo preferito non scriverlo, ma ormai è stato esposto al pubblico). La destra non se la sente, perché nei giorni scorsi ha chiesto di imprigionare mezzo mondo e di cacciare a calci nel sedere i giudici di sorveglianza. La sinistra neppure perché comunque trova ghiotta l’occasione per attaccare la Lega. Chi resta? Beh, ci sarebbe lo schieramento liberale, che potrebbe prendere le difese della magistrata. Ma a voi risulta che esista uno schieramento liberale, in Italia? Non pervenuto.

P.s. La piena anche se isolatissima solidarietà da parte di questo giornale alla dott.ssa Calzolari e anche, ovviamente, all’avvocato Roberto Cota.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.