Chi pagherà ora per la carcerazione disposta nei confronti dell’ex presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni e dei tanti politici e amministratori pubblici meno noti sbattuti in cella in questi mesi grazie alla legge “Spazzacorrotti”? L’Avvocatura dello Stato, intervenuta ieri mattina in udienza alla Corte Costituzionale in rappresentanza della presidenza del Consiglio, ha chiesto che venga bocciata la legge voluta dal tandem Bonafede-Travaglio che, equiparando i reati contro la Pubblica amministrazione ai reati di mafia e terrorismo, aveva precluso ai condannati per corruzione, con efficacia immediata, l’accesso ai benefici penitenziari. «In particolare dopo aver ascoltato il professor Vittorio Manes e i suoi richiami alla comparazione con gli altri Paesi europei – ha spiegato l’avvocato dello Stato Massimo Iannuzzi – devo parzialmente correggere le nostre conclusioni. Non mi sento controparte rispetto ai colleghi difensori, perché lo Stato di diritto dev’essere un riferimento per tutti gli operatori del diritto: questa norma non può essere retroattiva».

Parole forti che mettono, dunque, una pietra tombale sulla principale legge “manifesto” dei grillini. A partire dal primo febbraio del 2019, come si ricorderà, i condannati per reati contro la Pubblica amministrazione erano sono stati tutti incarcerati, anche se le loro condotte incriminate erano antecedenti all’entrata in vigore della norma. E fra i primi a varcare la soglia del carcere era stato proprio Formigoni che, condannato in via definitiva a cinque anni e dieci mesi, aveva deciso di consegnarsi spontaneamente a Bollate senza attendere l’arrivo dei carabinieri. Contro la legge Spazzacorrotti vennero presentati alla Consulta circa 20 ricorsi da parte di diversi Tribunali che – sollecitati dai difensori dei condannati – avevano chiesto fosse dichiarata la sua incostituzionalità. Alla discussione di ieri ha partecipato, oltre a Manes, anche l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle camere penali. Il cittadino che a suo tempo ha fatto delle scelte processuali ben precise si sente ora “ingannato” dalla Stato: «non si cambiano in corsa le regole del gioco», le parole di Caiazza all’indomani dell’entrata in vigore della Spazzacorrotti, stigmatizzando l’assenza di qualsiasi norma transitoria al riguardo.

La sua tesi, accolta quindi dall’Avvocatura dello Stato, è che tale legge risulta essere in contrasto con l’articolo 25 della Carta, secondo il quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». Roberto Formigoni, pur avendo superato i 70 anni di età, non aveva potuto fruire (come avrebbe invece potuto prima dell’entrata in vigore della Spazzacorrotti) del regime di detenzione domiciliare previsto dalle norme sull’ordinamento penitenziario. I grillini, ed il Fatto Quotidiano, ossessionati dalla corruzione, avevano imbastito una campagna fortissima per equiparare i delitti contro la Pa ai delitti di criminalità organizzata. «È veramente una legge che ci inorgoglisce perché stiamo dando un messaggio non soltanto ai cittadini onesti di questo Paese, ma anche all’estero: stiamo dicendo che l’Italia ha un passato segnato dalla corruzione, però da quel passato si è deciso di tirare fuori leggi all’avanguardia che possono addirittura proiettare l’Italia come paese è leader a livello internazionale nella lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione», le euforiche dichiarazioni di Bonafede il giorno dell’approvazione della Spazzacorrotti.

Gli operatori del diritto, invece, fin da subito avevano evidenziato le “storture” di una simile impostazione ideologica.In particolare, il contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e la violazione del principio della irrinunciabile funzione rieducativa della pena (art. 27, 3 co. Cost.). L’inserimento della corruzione nell’elenco dei reati “ostativi” alla sospensione dell’ordine di carcerazione ed alla concessione dei benefici penitenziari, estendendo ai condannati per tale reato la presunzione di pericolosità che il legislatore aveva già previsto per i condannati per reati di mafia e di criminalità organizzata, aveva avuto come immediata conseguenza la preclusione all’accesso alle misure non detentive volte a compiere la finalità rieducativa della pena. Gli effetti della legge erano stati paradossali. Chi, indagato per reati contro la PA, aveva concordato con il magistrato un patteggiamento, con conseguente sospensione della pena, aveva visto spalancarsi le porte del carcere. Ma non solo. Il condannato a pene elevate, ad esempio l’omicidio volontario, aveva continuato a godere dei benefici penitenziari, mentre chi doveva scontare anche una pena ben più modesta per reati contro la Pa era stato costretto a farlo solo ed esclusivamente in carcere senza che fosse stato possibile verificare il suo percorso di reinserimento. La decisione definitiva della Consulta, forse, già oggi.