«Mai più personaggi come Ferri e Palamara», ha tuonato Marcello Basilico, consigliere dell’Anm, dal palco del congresso nazionale del sindacato delle toghe, svoltosi all’inizio di questo mese a Genova. «Servono scelte trasparenti: non deve più accadere che ci siano personaggi come loro che, senza avere ruoli formali, partecipano a riunioni per decidere incarichi nelle Procure più prestigiose», ha aggiunto la toga di Area, il raggruppamento di sinistra della magistratura, ribadendo la necessità di prendere le distanze dai due colleghi che per anni avevano fortemente inciso nelle scelte per i vertici degli uffici giudiziari. Luca Palamara e Cosimo Ferri, che adesso quasi tutti i magistrati dicono non aver mai conosciuto e frequentato, erano infatti delle toghe molto influenti. Almeno fino a quando non sono apparse sui giornali le intercettazioni dei loro colloqui con alcuni consiglieri del Csm per discutere delle nomine di varie Procure, a partire da quella di Roma.

È stato spesso ricordato, a tal proposito, come Palamara e Ferri riuscirono nell’impresa di far eleggere l’ex responsabile giustizia dei dem David Ermini alla vicepresidenza del Csm. Nomina che suscitò gli strali dei grillini. «È incredibile! Avete letto? Questo renzianissimo deputato fiorentino del Pd è appena stato eletto presidente del Csm. Lo hanno votato magistrati di ruolo e membri espressi dal Parlamento. Ma dov’è l’indipendenza?», disse l’allora vice premier Luigi Di Maio. I pentastellati, forti dell’asse Davigo-Area, avevano invece puntato sul laico M5s Alberto Maria Benedetti. Tornando, però, alle intercettazioni telefoniche effettuate dalla Procura di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Anm, indagato nel capoluogo umbro per corruzione, il filo conduttore di tutte le conversazioni riguarda le nomine dei capi degli uffici giudiziari. Una vera ossessione che dovrebbe far molto riflettere circa le “energie” dedicate dalle toghe alla propria carriera.  Ad emergere nitidamente nelle migliaia di telefonate intercettate di Perugia è, soprattutto, il futuro degli ex consiglieri del Csm. Il “vento dell’antipolitica” soffia anche su Palazzo dei Marescialli. Per la prima volta i consiglieri uscenti rischiano di essere penalizzati.

Normalmente, appena terminato il mandato, l’ex consigliere veniva “ricompensato” con un incarico di vertice: la presidenza di un Tribunale o la responsabilità di una Procura. Questa volta è diverso. Palamara, e i suoi colleghi, rischiano di restare a bocca asciutta. I colleghi lontano dal Palazzo vogliono un cambio di rotta. Basta con il “trampolino di lancio” per incarichi di prestigio rappresentato dall’aver fatto parte del Csm. Ecco la necessità allora di trovare un accordo comune, superando le rivalità fra correnti. Roma è il banco di prova di questo patto. La scelta del capo di Piazzale Clodio condizionerà a cascata tutte le altre nomine. Da qui, dunque, l’importanza di scegliere il procuratore “giusto”.  Non è dato sapere se Palamara fosse a conoscenza o meno di essere intercettato dalla Procura di Perugia. Il linguaggio “criptico”, evidenziato fin dall’inizio delle operazioni dagli investigatori della Guardia di Finanza, e le precauzioni poste in essere, fanno venire più di qualche sospetto. La telefonata delle ore 14.30 del 6 marzo scorso tra Palamara e Luigi Spina, anch’egli togato di Unicost, e punto di riferimento del pm romano all’interno del Csm, è ritenuta importante dai finanzieri. I due si sentono spessissimo. Spina, quando scoppierà lo scandalo, sarà il primo a dimettersi. Fra i cinque consiglieri che hanno lasciato piazza Indipendenza, è l’unico ad essere indagato.