Lo vedi in un’intimità molto semplice e nell’immagine pubblica in cui compare come un gigante. Una bella storia, personale e politica. Poi ti svegli di soprassalto e un pensiero improvviso lacera la realtà: ma questo Roberto Formigoni è lo stesso protagonista della sua Storia Criminale? Quella che lo ha bollato come corrotto e servo dei grandi della sanità per qualche gita in barca? È in gran parte la sua gente, quella che ancora lo ammira e che non l’ha mai abbandonato, quella che affolla per due sere e quattro spettacoli uno in fila all’altro la Cineteca di viale Fulvio Testi, periferia nord di Milano, siamo quasi a Sesto Sangiovanni, la famosa Stalingrado dei tempi delle fabbriche e dell’aristocrazia operaia.
Roberto F. è il titolo, e dice già tutto. Quello di cui parliamo è uno di noi. Non solo perché gli vogliamo bene, ma perché Formigoni è Formigoni, a difficilmente ce ne sarà un altro così. E lo strano è che questo docufilm, che ha dovuto peregrinare a lungo prima di trovare patria, cioè una sala interessata alla proiezione, non ha il timbro di Comunione e Liberazione o di un qualche ambiente catto-integralista. L’autore è Pino Farinotti, che gli informati danno più vicino alla Lega che non agli ambienti moderati in cui ha vissuto e vive uno come Formigoni, il regista è un giovanissimo, Nicolò Tonani, il direttore della Cineteca che ha avuto l’ardire di dare ospitalità si chiama Matteo Pavesi. E tutti e tre mettono insieme un piccolo capolavoro, pulito e prezioso, mentre in sala domina l’immagine gialla e azzurra della bandiera ucraina e un breve inno alla pace. Roberto F., quello in carne e ossa nei suoi 187 centimetri di statura, è sempre presente, il giudice di sorveglianza gli ha dato il permesso. Ma ogni sera deve comunque rientrare a casa entro le ore 23. E già, perché questo “Signor F.”, immagine che ricorda un po’ quella più scanzonata del “Signor G.” di Giorgio Gaber, è agli arresti domiciliari. In quell’altra vita di condannato, quella della Storia Criminale.
Non ci sono solo le testimonianze di coloro che gli furono e gli sono amici, nel docufilm. C’è prima di tutto un’altra presenza fondamentale, che è sullo schermo e anche in sala, Gabriele Albertini. Che è stato il Cupido che ha messo insieme l’Autore e il Primattore, perché Farinotti e Formigoni proprio non si conoscevano, è stato l’ex sindaco di Milano a presentarli. Succedono cose strane di questi tempi. Per chi è di Milano e ha vissuto la politica di questa città, prima chiamata capitale morale, poi tangentopoli, poi ancora la più lanciata sulle vette dell’Europa e infine la più massacrata dall’epidemia da Covid, pare strano vedere l’ex governatore e colui che fu il borgomastro stretti in un abbraccio virtuale, in un pappa e ciccia che nulla ha che fare con gli anni che furono. Quelli in cui i due –l’uno dal Pirellone, l’altro da Palazzo Marino- pur non essendo mai nemici, si pizzicavano sull’ambiente, sulle domeniche a piedi di Formigoni che a Albertini facevano venire l’orticaria, sulle auto ibride del futuro, che poi divennero realtà. Il tutto documentato dalla splendida vignetta di Giorgio Forattini, in cui il governatore fa pipì dall’alto sul Duomo, e sotto si vede Albertini in motorino che dice “finalmente piove e potrò girare in vespa”.
Le immagini del docufilm mostrano una Milano avvolgente, che pare tenere l’attore tra le braccia. Vedi in sequenza lui che si sciacqua la faccia, spinge indietro i capelli con un pizzico di vanità, prepara un caffè, legge il giornale in una quotidianità che non pare da detenuto. E invece lo è. Poi te ne accorgi un po’ dal linguaggio del corpo, quando pare che sfiori la vastità di piazza Duomo un po’ insaccato nel giubbotto invernale e si appoggia a un amico nella lunghezza della Galleria. Non c’è più nulla dell’incedere arrogante di chi aveva il mondo in mano perché nell’arco di tempo in cui gli altri arrancavano in una qualche carriera, lui aveva già fatto tutto, dal Parlamento italiano a quello europeo, dal governo del Paese a quello della Lombardia, per quattro volte, dal 1995 fino al 2012. L’anno del brusco risveglio in salsa giudiziaria, la volta in cui la Lega in versione forcaiola gli staccò la spina per una brutta storia che portò all’arresto di un assessore. In cui lui non c’entrava niente, ma che segnò la fine di tutto.
La fine, nella memoria di chi preferiva la Storia Criminale rispetto a quella popolare e professionale di chi ha saputo portare la Regione Lombardia come eccellenza nel mondo, aprendo sedi dagli Stati Uniti fino ai Paesi orientali e riuscendo persino a vendere il riso dei produttori italiani alla Cina, dopo un assaggio del mitico risotto giallo alla milanese. Di chi era riuscito, con un’iniziativa individuale, a penetrare nel regno di Saddam Hussein e a riportare in Italia 400 lavoratori italiani rimasti intrappolati in Iraq. Ma comunque la si veda, da qualunque parte si prenda questa storia del “Signor F.”, la storia di Roberto, per ogni lombardo è prima di tutto quella della salute di ogni cittadino. La riforma del 1997, che ha messo in competizione il settore pubblico e il privato, con il coinvolgimento dei quattro poli dell’eccellenza, San Raffaele, Humanitas, Ieo e Gruppo San Donato, ha portato la Lombardia ai massimi livelli dell’Europa, ha risanato una sanità disastrata dalle macerie di tangentopoli, ha eliminato le liste d’attesa pur mettendo in pari il bilancio e ha consentito a chiunque (aprendo le porte a cittadini di ogni parte d’Italia) di accedere all’eccellenza sotto l’ombrello dell’assistenza pubblica.
Il docufilm presenta i riconoscimenti di personaggi diversi tra loro (e diversi da lui) come Piero Bassetti, Francesco Alberoni e Andrée Ruth Shammah. L’ha pagata cara questa sua genialità, Roberto F. Proprio sulla sanità si sono accaniti i magistrati, e hanno aperto il capitolo della costruzione della Storia Criminale. Pur non riuscendo mai a dimostrare il nesso di causalità tra le sue decisioni (con provvedimenti non imposti da un dittatore, ma votati dalla giunta e dal consiglio regionale) e l’ipotesi di corruzione, come ricordato dai tre personaggi scelti dall’autore del docufilm come suoi difensori in un nuovo processo virtuale. Gabriele Albertini: ho letto 400 pagine senza trovare il reato. Piero Sansonetti: cinque anni di condanna per qualche gita in barca…non posso che essere solidale con Formigoni. Vittorio Feltri: sono disgustato, e vorrei che lui continuasse a fare politica perché è il più bravo. Lui, il Signor F. vorrebbe spiegare la politica ai giovani. Magistratura permettendo.
