Borsa giù di oltre il 20 per cento dall’inizio dell’anno e rublo anche peggio: per ora il contagio finanziario non sembra risparmiare la Russia, nonostante la forza dei suoi conti pubblici e l’isolamento della sua economia. Anzi, il crollo dei prezzi petroliferi, a cui paradossalmente proprio Mosca ha direttamente contribuito, secondo alcuni analisti crea il rischio di una recessione più lunga e penosa che altrove.
La politica economica “sovranista” e ispirata alla stabilità introdotta a partire dal 2014 – quando l’annessione della Crimea e le conseguenti sanzioni hanno distanziato Mosca dall’Occidente – in questi giorni è sottoposta a un test cruciale. Mentre nel mondo si chiudono i confini, si alzano barriere e si approntano misure per il contenimento del virus e per la sopravvivenza economica, il dibattito sull’efficienza del modello isolazionista e politicamente autoritario della Russia al tempo della pandemia diventa quantomai interessante.
“La Russia deve confrontarsi con gli stessi problemi di ogni altro Paese, in questa situazione”, dice al Riformista il finanziere e accademico moscovita Andrei Movchan, titolare di una società che gestisce asset privati per l’equivalente di oltre 100 milioni di euro. “Tutto dipenderà da quanto si diffonderà il virus tra la popolazione, da quali saranno le misure di sostegno economico del governo e da come verranno implementate». A questo proposito, Movchan ritiene un vantaggio il fatto che in Russia il 38% degli occupati lavora per lo Stato. Gente che anche se le cose si mettessero al peggio non rimarrebbe senza stipendio né peserebbe sull’ammontare degli ammortizzatori sociali straordinari. Da molti punti di vista, alla “guerra del coronavirus” l’economia russa ci arriva preparata. Gli indicatori economici sono invidiabili: surplus di bilancio, debito basso, riserve in valuta forti.
Alla stabilità si sono però sacrificati crescita e tenore di vita delle famiglie: lo scorso anno le riserve hanno superato i 170 miliardi di rubli (circa 2 miliardi di euro) coprendo completamente il debito estero, mentre il Pil ha avuto un’espansione limitata all’1,3%, a fronte di un aumento dei redditi reali pari allo 0,8%. I redditi sono più bassi rispetto a otto anni fa. Intanto, il governo ha cercato di sfilare la Russia dall’economia globale, per minimizzare i danni delle sanzioni, rafforzare l’ industria e rendere le attività finanziarie meno sensibili all’andamento dei mercati internazionali. “E la manovra è riuscita”, sottolinea da Mosca il capo della società di investimenti Macro-Advisory Chris Weafer: “Il Paese è senz’altro in una situazione migliore per affrontare questa crisi rispetto a quanto lo sarebbe stato qualche anno fa», spiega Weafer al Riformista. “È meno esposto all’economia globale, e con aggiustamenti minimi potrà far fronte all’emergenza anche per un anno senza indebolire le proprie posizioni finanziarie”.
Il problema per la Russia è che dipende dall’esportazione di gas e petrolio per circa la metà delle proprie entrate fiscali. E il prezzo del greggio è in caduta libera, a causa della drastica riduzione della domanda globale provocata dal diffondersi del Coronavirus. Ma anche per effetto della decisione di Mosca di far saltare, proprio in questi giorni di caos, gli accordi con l’Opec per stabilizzare i corsi petroliferi. Una mossa a lungo chiesta a Vladimir Putin da uno dei suoi consiglieri più potenti: Igor Sechin, capo della società petrolifera di Stato Rosneft. Obiettivo, recuperare quote di mercato sottraendole ai concorrenti Usa.
“Una pessima scelta, dovuta a un errore di calcolo: non si pensava che l’Arabia Saudita avrebbe accettato la sfida commerciale iniziando una guerra al ribasso. Alla Russia questo errore costerà caro”, dice Weafer. Il governo, comunque, ritiene di essere in grado sostenere prezzi petroliferi inferiori ai 40 dollari il barile anche per tre o quattro anni, grazie alle riserve accumulate. “Tecnicamente è possibile, anche se si creerebbe un deficit di bilancio pari al 6/7% del Pil”, secondo Andrei Movchan.
Il direttore del Centro studi post-industriali di Mosca, l’economista Vladislav Inozemtsev, sostiene che, a causa della sua dipendenza dall’industria petrolifera, la Russia “potrebbe diventare di nuovo un ‘anello debole’ come nella recessione globale del 2009 e nella crisi anti-ciclica del 2015”. I prezzi del greggio restano una forte criticità, per l’economia russa. “Perché tornino a salire, sarebbe necessaria una crescita accelerata a livello mondiale, cosa al momento del tutto impensabile”, ha scritto Inozemtsev in un rapporto del suo istituto. “La Russia continuerà a essere un paese soggetto ai cicli dell’economia globale e ai declini tattici dei prezzi delle materie prime, e quindi più vulnerabile – in termini economici – rispetto ai Paesi più industrializzati“.
Non c’ è dubbio che la pandemia stia alimentando la voglia di isolazionismo economico sviluppatasi un po’ dappertutto da qualche anno a questa parte. E anche quella di autoritarismo politico. I modelli autoritari capaci di azioni decisive e di rapide mobilitazioni – come avvenuto in Cina – sembrano avere maggiore efficacia, in casi di forza maggiore come questo in cui ci ritroviamo. La Russia di Vladimir Putin è un faro, per chi vuole la de-globalizzazione e considera desueto il liberalismo. “Non è detto però che sia meglio equipaggiata di altri, nell’affrontare l’emergenza Covid-19”, dice al Riformista Andrei Kolesnikov, politologo del think tank Carnegie di Mosca.
“Che il governo sia autoritario o meno, i problemi di fronte a un’epidemia sono gli stessi, e le stesse sono le decisioni da prendere come le risposte da dare. In Russia, semmai, la natura egoistica del regime potrebbe portare a una minore accuratezza negli interventi rispetto ad altrove: il Cremlino non vuole spostare il referendum costituzionale fissato per il 22 aprile, per esempio.
E le forze armate si stanno esercitando per la parata della festa nazionale del 9 maggio, che a quanto pare si terrà nonostante in teoria a Mosca siano stati vietati gli assembramenti di oltre 50 persone”. Riguardo poi all’economia, “quella creata dal capitalismo di Stato in Russia non è stabilità, ma solo stagnazione permanente”, sostiene Kolesnikov.
