Schiano di Visconti assolto, l’inchiesta di Woodcock demolita: “Non c’è nessuna prova”

Michele Schiano di Visconti è il capogruppo di Fratelli d’Italia al Consiglio regionale della Campania, oltre ad essere commissario provinciale di Napoli del partito di Giorgia Meloni. Il 18 febbraio scorso il giudice Giovanni Vinciguerra del Tribunale di Napoli, a conclusione del processo celebrato con rito abbreviato e quindi sulla base dei soli atti della Procura, ha assolto Schiano di Visconti dal reato di corruzione elettorale. E ieri ha depositato i motivi di questa decisione. Il tutto è sintetizzato in poche righe, che demoliscono in modo lapidario il teorema accusatorio che il pubblico ministero Henry John Woodcock aveva sostenuto, quasi incaponendosi nonostante i vari no incassati già nella fase delle indagini preliminari. «Affatto inconsistente risultava il quadro indiziario – scrive il giudice nella sentenza di assoluzione – Quadro peraltro riferibile ad un’unica conversazione telefonica».

Una telefonata in cui non parla Schiano di Visconti e nella quale si farebbe riferimento non già al sostegno da offrire a un candidato del centrodestra alle elezioni comunali del 2015 quanto al voto di una giovane donna che aderendo a una sorta di accordo avrebbe garantito il proprio voto in cambio di un posto di lavoro. «Ma di ciò e dell’adesione della donna a tale accordo – conclude il giudice nei motivi della sentenza – non vi era prova alcuna. Né detta prova può rinvenirsi nelle successive sopravvenienze e negli ulteriori atti di indagine». Di qui, l’assoluzione «perché il fatto non sussiste». Una sentenza in linea con quanto chiesto dai difensori di Michele Schiano di Visconti, gli avvocati Giuseppe Pellegrino e Michele Riggi, che avevano percorso la strada del rito abbreviato optando per un processo basato esclusivamente sugli atti del pubblico ministero, senza richiedere l’esame di testimoni, senza contrapporre alle tesi del pm varie argomentazioni difensive. Come a sottolineare l’evidenza in sé dell’inconsistenza del castello accusatorio. Del resto, anche nella fase delle indagini preliminari quel castello era scricchiolato parecchio. Bisogna tornare alla primavera del 2018: il pm Woodcock indagava sulle elezioni comunali del 2015 ed era convinto che a Secondigliano alcuni politici avessero fatto accordi con gente del quartiere assicurandosi voti in cambio di favori o posti di lavoro.

L’iniziale ipotesi accusatoria prevedeva addirittura che tra quella gente vi fossero camorristi, poi l’aggravante mafiosa è caduta. Il pm Woodcock aveva esteso le sue indagini a 82 persone, tutte iscritte nel registro degli indagati, e per molti di loro era arrivato persino a chiedere l’arresto. Manette in via preventiva, insomma. A Michele Schiano di Visconti avrebbe voluto vederlo agli arresti domiciliari. Ma il giudice delle indagini preliminari frenò l’entusiasmo investigativo del pm Woodcock e negò la misura cautelare nei confronti di Schiano di Visconti perché ritenne il quadro indiziario «inconsistente». E un altro no all’arresto arrivò dal Riesame a cui il pm aveva presentato ricorso impugnando la decisione del gip. Insomma bocciature su bocciature. Ma il pm ha proseguito per la sua strada, nonostante il registro degli indagati si fosse sfoltito da 82 a 27 indagati, arrivando a chiedere il giudizio per una ventina fra politici e loro amici accusati di voto di scambio. Il processo si farà per una dozzina di loro, e sarà un dibattimento lungo fra i vari testimoni e atti da esaminare. Michele Schiano di Visconti è stato l’unico a scegliere di definire la propria posizione con il rito abbreviato, convinto che dalle carte dello stesso pm sarebbe emersa la prova dell’inesistenza del reato. E così è accaduto. «Il fatto non sussiste», ha concluso il giudice Vinciguerra al termine del processo, demolendo in poche righe, appena due pagine, l’indagine del pm.