Prima di parlare di Selvaggia Lucarelli e della sua polemica sullo squalo che ha attaccato Matteo Mariotti in Australia (purtroppo costringendo i medici ad amputargli una gamba), vorrei formulare una premessa importante sotto il profilo del metodo. Alla faccia di Michel Foucault, di Jacques Derrida e di tutti gli altri pensatori postmoderni che non hanno particolare simpatia per l’oppressivo metodo scientifico, io non posso che stare dalla parte di Karl Popper e del suo falsificazionismo, cioè dell’invito/auspicio a formulare ipotesi teoriche che abbiano delle conseguenze falsificabili: se i dati sono in contraddizione con quell’ipotesi –pur piacevole dal punto di vista ideologico- quell’ipotesi viene rigettata dai dati stessi, e dunque bisogna pensare ad un’altra ipotesi.

Questo meccanismo non vale soltanto nel mondo della ricerca scientifica, ma dovrebbe applicarsi anche in altri ambiti, e in particolare nel giornalismo. Al contrario, l’approccio ideologico privilegia la propria ipotesi iniziale anche quando i dati la rigettano. Per quanto concerne la mia posizione rispetto a Selvaggia Lucarelli, sotto il profilo politico e ideologico sono alquanto lontano da lei e dalle sue idee, ma –a motivo della mia predilezione per l’approccio scientifico- non posso che valutare anche i fatti che contraddicono questa mia posizione. Andando nel concreto, ritengo che, quando è in ballo la ricerca di fatti e notizie, il suo fiuto giornalistico sia notevole, e non posso che sollevare una paletta di approvazione quando debba giudicare il suo stile di scrittura, che ritengo baroccamente molto piacevole e non privo di trovate retoriche argute. Sotto il profilo del lavoro investigativo, da “cane da guardia”, pubblicamente e sinceramente ho lodato la sua egregia capacità di stanare le “incongruenze” nell’attività di beneficenza di Chiara Ferragni, dall’infausta vicenda dei pandori alla precedente vicenda delle uova di Pasqua.

Dall’altro lato, non potevo che definire Selvaggia Lucarelli “Oriana Fallaci 2.0” a motivo dei suoi goffi reportage sugli assembramenti durante il Covid 19, da lei e da altri raffigurati come eroiche attività giornalistiche in inospitali località di guerra. Se devo radunare la giuria dei miei neuroni, ritengo che la sicumera moralistica della Lucarelli durante la pandemia, truce alfiera di un approccio alla “Moriremo Tutti, riveli un atteggiamento ideologico secondo cui solo i fatti coerenti con la teoria iniziale vanno documentati e raccontati, con uno spirito battagliero che per l’appunto stava meglio indosso ad Oriana Fallaci che a lei.
Nel caso del suo “scoop” sulla raccolta di fondi a favore di Matteo Mariotti, in cui non è chiara la rilevanza relativa della copertura delle spese sanitarie, sarebbe invece gradevole che Selvaggia Lucarelli, pur sospinta da quest’impeto costante di ricerca della verità, badasse maggiormente a un’appropriata corrispondenza tra i suoi mezzi mediatici e le caratteristiche specifiche del caso in questione. Senza tirare in ballo la famosa domanda di Bud Fox a Gordon Gekko nel film Wall Street (“Quand’è che basta?”), credo che sia riprovevole usare la propria influenza mediatica nel colpire chi non ha una rilevanza mediatica comparabile e che per di più ha subìto un danno irreparabile al proprio corpo.

Detto in altri termini, Chiara Ferragni è personaggio pubblico che merita uno scrutinio severo, anche a motivo della sua capacità di indurre comportamenti di consumo (capacità il cui uso scorretto è stato peraltro sanzionato dall’Autorità Antitrust, come sappiamo), mentre qui stiamo ragionando su una colletta degli amici a favore di un ragazzo che ha perso una gamba in un incidente gravissimo.
Nel suo post del 14 dicembre Selvaggia Lucarelli aggiunge altresì dettagli sul background economico della famiglia di Mariotti (testualmente: “È di famiglia benestante, suo padre è proprietario di un noto locale in centro e di immobili vari, ha altre attività”) e sui numerosi viaggi da lui fatti, come a sottolineare che non sia persona a cui prioritariamente destinare soldi in beneficenza. Se la Lucarelli fa benissimo a denunciare insulti e minacce a seguito di questo ed altri post, non è però chiaro come mai i cittadini non possano volontariamente decidere di fare donazioni a un ragazzo a cui è stata amputata una gamba. Sotto il profilo cinicamente tecnico, ma ahinoi necessario della valutazione comparata di benefici e costi, quanto sarebbe disposto a pagare Matteo Mariotti o chiunque altro per avere indietro la propria gamba amputata? Perché mai privati cittadini non possono decidere di compensare almeno in parte tale situazione invalidante? Il moralismo ideologico di Selvaggia Lucarelli non riesce a contenersi nella parte finale di questo post su Facebook, quando le parte una reprimenda sul rispetto degli animali da parte di Mariotti, così come esemplificato dalle “Stories” messe in evidenza sul suo profilo Instagram.

Testualmente: “Le foto con gli uccelli legati e lo squaletto tirato fuori dall’acqua e messo sul tavolo non si possono guardare”. Per tirare la volata alla propria posizione ideologica, purtroppo Selvaggia Lucarelli non sembra in grado di contenersi, ed è un peccato perché –a parte il caso specifico- questa incapacità va a detrimento delle sue indubbie doti investigative e di “bello stilo” di scrittura.
Dato che –come insegnano le femministe- “il personale è politico”, ben mi ricordo un suo divertente pezzo di scherno nei miei confronti, ovviamente apparso sulle pagine del Fatto Quotidiano (controllato dalla società quotata SEIF): quando l’allora vicesegretario del PD Provenzano fece partire una riuscita fatwa contro il sottoscritto e Carlo Stagnaro per una pericolosissima nomina di stampo liberista presso Palazzo Chigi al tempo di Mario Draghi, Selvaggia Lucarelli si fece prendere la mano, testualmente scrivendo che “Puglisi è esperto di analisi delle politiche pubbliche quanto io di ingegneria aerospaziale”. Lucarelli, se bisogna ballare balliamo: io sono professore ordinario di scienza delle finanze, tu non sei manco laureata. Che ne sai di analisi delle politiche pubbliche? Lucarelli, quand’è che basta?