Il nuovo cinema argentino
Il Supplente di Diego Lerman: la storia di un insegnante nella periferia povera e violenta di Buenos Aires
Dalla Gran Buenos Aires arriva una storia che non può lasciare indifferenti. Un film che emoziona per il suo realismo autentico e per l’onestà e l’empatia dello sguardo. Il supplente, sesto lungometraggio del quarantasettenne Diego Lerman, nei cinema dal 20 luglio, è una coproduzione tra imprese di Argentina, Spagna, Italia, la Vivo Film, Messico e Francia. Presentato nel settembre scorso, al Festival di Toronto e poi al Festival di San Sebastian, in Spagna, propone una vicenda in cui si intrecciano romanzo di formazione, crime thriller e parabola sociale.
Nel suo cinema Diego Lerman privilegia alcuni temi: la famiglia, la scuola e le contraddizioni degli adolescenti sia della classe media sia di quelli che vivono nelle “villas miserias”, tra violenza delle gang e resistenza alla degradazione. Appartiene al “nuovo cinema argentino”, caratterizzato da un approccio che oscilla tra un neorealismo, che supera la dicotomia tra finzione e documentario, e un non realismo minimalista, con speciale humour comico. Il lungometraggio di esordio di Lerman, Tan de repente (2002), è una commedia permeata da una genuina dimensione poetica: la storia dell’incontro tra una giovane commessa che conduce un’esistenza routinaria e una coppia di coetanee punk e lesbiche. Mientras tanto (2006) è un affresco frammentario di piccole storie della varia umanità che popola Buenos Aires. La mirada invisible (2010) si svolge nel microcosmo anacronistico di un liceo di élite di Buenos Aires, nel marzo 1982, durante la fase finale della dittatura militare. Refugiado (2014) racconta il dramma di una giovane incinta, vittima della violenza del coniuge e costretta a fuggire, insieme al figlio di 8 anni, spostandosi da un domicilio di fortuna all’altro. Una especie de familia (2017) propone un ritratto femminile tragico, tra varie complicazioni e dilemmi psicologici e morali: la vicenda di una dottoressa quarantenne che ottiene un neonato, pagando un compenso alla giovane che lo ha partorito.
Il supplente si svolge nella cittadina di Avellaneda, nella periferia della metropoli porteña, affacciata sul grande Rio de la Plata. Lucio (Juan Minujin), un trentenne, ancora assistente universitario, in crisi dopo la separazione dalla moglie Mariela (Bárbara Lennie), accetta il posto di supplente di lettere in un liceo del quartiere dove è nato. Suo padre è un carismatico sessantenne, soprannominato il Cileno (Alfredo Castro), un idealista che sta allestendo una mensa comunitaria per i poveri, ma è gravemente malato. Lucio si trova di fronte una classe di quindicenni, di famiglie disagiate, in massima parte abulici e incapaci di capire a cosa serva la letteratura. Li accetta senza giudicarli e, poco a poco, riesce a interessarli e a far capire il valore del lavoro scolastico. Ma, quando nel liceo viene trovato un notevole quantitativo di droga, emerge che si tratta di un episodio della sordida guerra in corso tra El Perro, boss del narcotraffico locale, e il sindaco corrotto di Avellaneda.
La situazione precipita. La polizia stabilisce un presidio permanente nella scuola e Dilan (Lucas Arrua), uno degli studenti più perspicaci di Lucio, rischia di diventare la vittima della vendetta di El Perro. Diego Lerman evita la deriva didascalica e costruisce un’opera di qualità. Descrive con efficacia il contesto sociale, accoppiando movimenti di macchina che fissano i dettagli dei volti e dei corpi e ampie panoramiche e piani sequenza documentaristici del porto fluviale, delle casupole e dei luoghi più degradati. Offre una lucida rappresentazione della relazione tra docente e studenti, mescolando suggestioni che fanno pensare a film importanti, diversissimi, ma complementari: L’attimo fuggente (Dead Poets Sociery) (1989), dell’australiano Peter Weir; La classe (Entre les murs) (2008), del francese Laurent Cantet; La mia classe (2013), il docudrama di Daniele Gaglianone. Caratterizza intimamente i personaggi, anche attraverso dialoghi incisivi. Utilizza le dinamiche del genere thriller senza scadere nel sensazionalismo tragico per impressionare lo spettatore.
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