Forse è la volta buona. Il governo di Giorgia Meloni sta pensando a un taglio dell’aliquota Irpef per i redditi lordi compresi tra i 28mila e i 50mila euro. E si potrebbe arrivare fino ai 60mila euro. Dipende, come si può immaginare, dall’andamento dei conti pubblici. Nella fascia che riguarda il “ceto medio italiano”, l’aliquota Irpef è al 35%. I piani dell’esecutivo prevedono di portarla almeno al 33%. Non è l’unica azione. Per sortire un effetto concreto, è necessario rimodulare anche i meccanismi delle detrazioni, altrimenti il rischio è che si tagli l’imposta nominale senza gli adeguati “scomputi” delle spese: l’effetto reale potrebbe essere praticamente nullo.

I numeri

A spiegare il meccanismo è il viceministro all’Economia, Maurizio Leo. “Bisogna trovare le risorse – spiega intervenendo a un evento del Sole 24 Ore – Dobbiamo avere i dati sull’economia nazionale dell’Istat. Il ceto medio è la priorità avvertita da tutti. In particolare, per la fascia da 28mila euro a 50mila euro, l’intenzione è di portare l’aliquota dal 35% al 33% ed eventualmente allargarci fino a 60mila euro. Sappiamo che questo interesserebbe 13,6 milioni di contribuenti”. Tutto dipende, dunque, da quello che dirà l’Istat lunedì 22 settembre, quando renderà noto l’andamento dei conti pubblici italiani.

Comunque si respira ottimismo. Basti pensare che nei giorni scorsi la Banca d’Italia ha reso noto l’andamento delle entrate fiscali e del debito pubblico. In entrambi i casi si tratta di numeri positivi. A luglio le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono state pari a 68,3 miliardi, in aumento del 13% (7,9 miliardi) rispetto al luglio del 2024. Nei primi sette mesi del 2025 le entrate tributarie sono state pari a 325,6 miliardi, in aumento del 5,3% (16,4 miliardi) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Allo stesso tempo, poi, il debito delle amministrazioni pubbliche è diminuito di 14,5 miliardi rispetto al mese precedente, risultando pari a 3.056,3 miliardi.

Meno debito e più entrate dovrebbero mettere a disposizione del governo Meloni un tesoretto di almeno 15 miliardi di euro, anche se il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, continua a predicare prudenza. “Il taglio dell’Irpef e la rottamazione restano un obiettivo del governo – spiega – ma è necessario prima verificare l’andamento dei conti pubblici”.

Il fattore Europa

Ciò che Giorgetti non dice, per non irritare gli alleati di governo, è che l’Italia non può tornare a spendere e spandere perché sta per uscire dalla procedura di deficit eccessivo grazie agli impegni presi con l’Europa. Allo stesso tempo, dal Ministero dell’Economia vogliono cercare di capire quante risorse saranno destinate alla Difesa e in che modo esse saranno contabilizzate nel Patto di stabilità. Non dimentichiamo che l’Italia si è impegnata ad alzare le spese per le armi al 5% del Pil entro 7 anni.

L’impatto

In ogni caso, l’impatto stimato del taglio Irpef da diverse simulazioni vede un “premio” in busta paga – per chi guadagna più di 28mila euro all’anno – che oscilla tra i 40 e i 440 euro all’anno. Per chi guadagna fino a 60mila euro (meno di un milione di persone), il taglio invece varrebbe fino a 1.640 euro l’anno. Ovvero 137 al mese.

Analizzando le varie fasce di reddito, chi ha una busta paga lorda fino a 30mila euro all’anno otterrebbe la quota più bassa: circa 40 euro in 12 mesi. Per chi ne guadagna fino a 40mila, l’importo sarebbe di 20 euro al mese e quindi 240 euro in più in busta paga in un anno. Chi guadagna 55mila euro l’anno avrà una differenza annua di 1.040 euro e mensile di 86,70; chi guadagna 60mila euro l’anno avrà una differenza annua di 1.640 euro e mensile di 136,70. Insomma, una misura che farebbe “bene” a chi ha buste paga mediamente più pesanti. Ammesso che, ricordiamolo, non si facciano “scherzetti” con le detrazioni, e sempre che l’andamento dei conti pubblici consenta all’esecutivo di agire.

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