Tatarella assolto, la ‘lezione’ dell’imputato Ranucci e la morte della madre: flop epico dei pm, politici fate qualcosa o cambiate mestiere

PIETRO TATARELLA POLITICO

Quella di Pietro Tatarella è una storia vergognosa e drammatica, tutta e solo italiana.
Una giovane vita e una carriera brillantissima distrutte, assieme a quella di una intera famiglia, per il fanatismo di una magistrata che in una nazione che si voglia bene verrebbe cacciata a calci. E per quello di nove giornalisti su dieci che godono nello sputtanare innocenti, avvolgendo il loro ius sputtanandi nel velo ipocrita del diritto di cronaca.
Il tutto, nel silenzio pavido di un partito dove il talento di questo ragazzo era visto come una minaccia anziché come opportunità. Silvio Berlusconi oggi lo avrebbe chiamato e ricevuto. Da Forza Italia, manco una telefonata di scuse.
Pietro Tatarella è un ragazzo brillante, che io selezionai nel 2015 su indicazione proprio di Silvio Berlusconi, che mi chiedeva di trovare in tutta Italia dieci giovani promettenti da usare in tv per rinfrescare l’immagine di un partito che già allora appariva usurato: “Diamo valore agli amministratori locali che sono fuori dal giro ma sono brillanti”. E Pietro Tatarella era un grandissimo politico: una valanga di voti, coraggio, dimestichezza. Avrebbe servito benissimo la causa. Eppure, dal suo stesso partito gli viene inopinatamente tolta la possibilità di entrare alla Camera nel 2018 (candidarono gente che sei mesi dopo avrebbe abbandonato Forza Italia, cosa che Pietro si rifiutò di fare malgrado laute offerte e dopo la cocente delusione incassata). Anzi, un anno dopo decide di candidarsi alle Europee. Ma il 7 maggio, quando a Linate si sta imbarcando per andare in tv a Roma, viene arrestato da uno stuolo di uomini manco fosse Al Capone in fuga.
Associazione a delinquere, corruzione e finanziamento illecito, per fatti di due anni prima. Con lui, finiscono dietro le sbarre in 43. Milano era stata invasa da cimici e microspie. Segue immancabile conferenza stampa in cui Francesco Greco, capo della Procura, tratteggia la “sinergia tra cosche e imprenditori” e “spaccati di società che fatica a cambiare tra faccendieri, politici e imprenditori”.

Seguono settimane di sputtanamento totale da parte di tutti i tg e i quotidiani d’Italia (ancora ricordo il Tg1, all’epoca grillino, sversare di tutto contro lui e Fabio Altitonante, altro bersaglio forzista di questa inchiesta ridicola che voleva affermare che si incassassero tangenti emettendo fattura per il proprio lavoro svolto, e pagandoci le tasse, ahahah). Perché qualcuno aveva già apparecchiato filmati, immagini e intercettazioni con regie suggestive, degne dei migliori film, offrendoli a tutti i media della nazione per orientare l’opinione pubblica contro gli indagati. In Italia funziona così: se ti arrestano devi essere già considerato colpevole e per farlo si allestiscono sapientemente filmati tagliati e cuciti, alla Report per intenderci, che ti dipingono come un criminale. Sarà proprio Report, anche se in ottima compagnia devo ammettere, a cantare col suo conduttoriello, le lodi di questa inchiesta ridicola, con Ranucci che diceva ai suoi spettatori, parlando di Fabio Altitonante che, indagato anche lui per questa storia, si era dimesso da sottosegretario ma non da consigliere regionale: “Eh, ma il posticino e lo stipendio pubblico da consigliere regionale se li è tenuti però…”. Come se il fatto di essere indagati per poi essere immancabilmente assolti ma di non dimettersi, per evitare di essere oltre che vittima di un Pm anche poveri, fosse criticabile o un furto (che poi… parlava lui che, dipendente pubblico Rai, pagato coi soldi pubblici dei cittadini, è pluri-indagato e rinviato a giudizio, dunque imputato, e col cavolo che fa altrettanto, lasciando il posto e i soldini pubblici. Alcuni sono coerenti solo con le vite degli altri).

Tatarella viene dunque placcato come un latitante in fuga e buttato in carcere per quattro mesi con la patente del ladro, per giunta vicino alla ‘ndrangheta. 120 giorni di galera, di cui 46 in isolamento. Un luogo dove il cervello viaggia e non sai a quali decisioni ti possa portare. Io lo vado a trovare ad Opera. Normale visita ispettiva di un deputato. Verrà segnalata alla P.g. (una roba che suona tipo: “Come si permette, questo, di andare a trovare quel gaglioffo…”). Arriva l’interrogatorio del pubblico ministero Silvia Bonardi (una che si è candidata per guidare la procura di Brescia, pericolo per fortuna scampato). La Pm sembrava Toninelli, con continue obiezioni populiste e sciatte come: “Scusi Tatarella, ma io da cittadina le oppongo che…”. Che uno dovrebbe risponderle: “Cara, tu fai il Pm, non la cittadina. Perché ogni cittadino che sbaglia sul lavoro, paga. Tu che stracci vite, no. Datti un tono, please”.
Il verbale rivela un contegno che trasuda pregiudizio etico, è la negazione del diritto e del lavoro da Pm, che per legge dovrebbe valutare anche gli elementi a favore dell’accusato.
Dopo quattro mesi di carcere e uno spostamento improvviso da Opera a Busto Arsizio per cui se ne perdono le tracce per due giorni, Tatarella torna a casa, scarcerato per decorrenza termini corredata da un giudizio che a leggerlo oggi viene il vomito (“ha tratto sufficiente monito per astenersi dal commettere altri reati simili”, scrisse il magistrato), ma ai domiciliari per altri due mesi. E ci torna tra gli insulti, consumati anche al bar sotto casa, di chi lo crede colpevole. Legge i suoi social e al danno si somma la pena. Per tutti è un reietto. Scaricato del tutto da Forza Italia (anche se io mi vanto di aver messo nero su bianco in un lancio d’agenzia, e purtroppo in splendida solitudine, che: “La scarcerazione di Pietro, che è chiaramente innocente, è un atto più che dovuto. L’inchiesta a suo carico è semplicemente ridicola”), abbandona la politica e comincia la sua lunghissima traversata nel deserto verso la sentenza, sempre mascariato. La moglie Miriam vacilla disperata, il padre Dino, uomo del sud e grande lavoratore è abbattutissimo e patisce il pregiudizio che sente sulla propria pelle, la mamma, affranta per il suo unico figlio prima incarcerato e poi additato da tutta Italia come Al Capone, si ammala e muore. Pietro vive il suo anno terribile fatto di una quotidianità infernale, perde la sua contagiosa solarità, appanna la sua naturale brillantezza, ma resiste, assistito da una donna coriacea, l’avvocato Nadia Alecci. Incassa la delusione di vedere il Comune costituirsi parte civile contro di lui (ma non contro alcuni suoi dipendenti coinvolti nella stessa inchiesta), malgrado diversi suoi avversari del Partito Democratico lombardo siano andati a trovarlo in carcere e lo difendano in aula con le testimonianze.

Io stesso, testimoniando a suo favore (e spiegando al Pm che gli contestava una corruzione per due biglietti dello stadio, che i biglietti erano per me, non per lui. Quanta superficialità…), respirai il pregiudizio che due signori in toga nutrivano verso questo ragazzo.
Ieri, dopo 5 interminabili anni, la sentenza: assolto perché il fatto non sussiste. Tradotto: abbiamo scherzato. Non c’era nulla. Tatarella, in lacrime. Fuori, esultanza. E rabbia. Perché ora la domanda resta la solita: chi si scusa a nome di uno Stato che troppe volte sbaglia, perché qualche Pm si innamora delle proprie idee anziché della verità? Chi restituisce a questo ragazzo, nel frattempo diventato papà una seconda volta, cinque anni di inferno che mai avrebbe dovuto vivere, la carriera che con merito e fatica stava costruendo, la reputazione sociale che si era guadagnato, la serenità persa e la possibilità di chiudere gli occhi alla mamma dicendole: “Mi riconoscono innocente, tranquilla”? E cosa accadrà a un Pm che, dopo aver diretto le danze della propaganda da procura, su 60 sentenze emesse ieri, ne incassa 52 di assoluzione a fronte di altrettante carriere e vite stracciate? Che farà il Procuratore Generale? Fermerà questo scempio? Ci auguriamo di sì. Intanto si è ristabilito l’ovvio: Tatarella è innocente. E io non avevo dubbi. Ma ora basta. Riformate la giustizia una volta per tutte. Perché oltre a chi difende certa magistratura e certa stampa, che confondono intenzionalmente il fare giustizia col giustiziare, c’è una categoria che fa ancora più schifo: quei politici pavidi che non trovano il coraggio di opporvisi, fifoni.
Fate qualcosa che serva a non avere più casi Tatarella, o cambiate mestiere.