Antonio Tajani nel suo intervento conclusivo a Paestum, che lui ha collocato dalle parti di Napoli per giustificare un gesto apotropaico contro chi scriveva che Forza Italia rischia la dissoluzione, ma che in realtà è da quelle di Salerno (intervento seguito da 100 likes e 47 commenti in 5 ore, roba da paralisi della nazione), si è lamentato di un paio di osservazioni che gli abbiamo fatto, e definito un quotidiano in dissoluzione. Senza nominarci, ovviamente, ma uno dei suoi mi assicura ce l’avesse con noi. Non so perché Antonio se la prenda così tanto. Né ho mai capito perché io gli stia sulle palle, quando lui a me è sempre stato simpatico, ne ho sempre apprezzato e difeso il posizionamento politico europeista e popolare, e l’ho sempre rispettato nelle mie uscite pubbliche, da parlamentare prima e da direttore adesso. Però spingermi a tacere dei fatti politicamente enormi sarebbe troppo. Non sarei serio, né di aiuto. Il suo problema non è certo Il Riformista, che riporta voci di disagio in Forza Italia; è che quelle voci ci siano, abbiano la consistenza della metà dei gruppi parlamentari, e si sfoghino con parole che il sottoscritto ha peraltro assai edulcorato.

Nulla di personale. Qui si scrive di politica. E di fatti. Ed entrambi dicono che al successo della sua leadership non credono anzitutto in Forza Italia; vedremo se lo faranno gli elettori (io gli auguro davvero di sì, ma temo di no). Sul Riformista, lo tranquillizzo. Le cose vanno abbastanza bene, il giornale ha parecchia visibilità, specie se paragonata ai profili social di Forza Italia, e va molto bene online (parlare ancora di edicole, come ha fatto lui dal palco di Paestum, significa essere rimasti indietro). Comunque, evidentemente lui lo legge. E io sono contento perché vogliamo stimolarlo. Detto ciò, i nostri problemi di crescita, lui non li ha mai avuti: non ha mai diretto nulla in carriera. Però c’è un po’ da preoccuparsi quando parla di dissoluzioni. Perché se ne intende. A cominciare dagli ascolti tv. Dove gli italiani lo vedono, e cambiano canale al volo, manco fosse la pubblicità. O come capitato a una settimana dal voto delle Politiche 2018, quando viene tirato fuori come candidato premier e polverizza 3 punti percentuali di FI, causando il sorpasso leghista. O come quando alle Europee dell’anno dopo, pretende di essere capolista alle Europee nell’Italia centrale, senza Silvio Berlusconi che era capolista ovunque altrove, e causa il tracollo di FI che scende per la prima volta nella sua storia sotto soglia psicologica del 10%. O alle comunali di Roma, quando Forza Italia, in combine con l’Udc, fa il 3% e spicci, eleggendo zero consiglieri comunali (anzi, eleggendone solo uno dell’Udc, che era stato Assessore del Partito Democratico alla Regione Lazio). Ma lui oggi dice che porterà Forza Italia al 20 “perché qui c’è gente seria”. Vero, ma anche no (la casistica degli strafalcioni in italiano di deputati e senatori forzisti propone perle assolute che trovate in un video sul nostro sito).

Comunque, Antonio non deve aver letto l’articolo, o capito il senso delle nostre osservazioni, che anzi lo indicavano positivamente come possibile autore di una svolta generazionale utile a rilanciare FI. Perché -scrivevamo – “lui ha la caratura per poterla dare questa svolta”. E però egli non ha colto, ma non c’è da stupirsi. Ricordo quando in piena bagarre per il Quirinale, quando lui gestì la cosa come sappiamo tutti (non proprio un successone), mi mandò un sms di rimprovero perché secondo lui io avevo dichiarato pubblicamente che Letizia Moratti, e non Silvio Berlusconi, sarebbe stata una buona candidata. Ma io, che ho ancora processi pendenti per aver difeso pubblicamente Berlusconi da alcuni pseudo magistrati, potevo aver detto una roba simile? No. E infatti gli feci notare che aveva scambiato per mia, una dichiarazione di Enrico Ruggieri, il cantante, che aveva detto: “Mi piacerebbe Moratti Presidente”. Ero anche un po’ imbarazzato dal dovergli far notare che c’era scritto nero su bianco chi avesse detto quella cosa: Enrico Ruggeri, cantautore. Non Andrea Ruggieri, deputato. Ma io, che ho buon carattere, non mi offesi per così poco. Né sono io a polemizzare, raccontandolo, sul fatto che lui volesse dotarsi al Congresso di 10, dicasi 10, vicesegretari nazionali, sul modello del Ppe che però – gli han fatto notare – è movimento europeo, non un partito nazionale. Perché – dicono i suoi, non io – così non è un Congresso. È una burla un po’ sciatta. E con tutto che io non sono fan dei Congressi (strumento arcaico, sulla cui trasparenza ho i miei forti dubbi), quanto farebbe bene una discussione pubblica e spettacolare tra mozioni diverse per contendersi la guida di un movimento che rimasto orfano di un leader non replicabile, si candida a tentare quantomeno un rilancio? Accenderebbe, forse, i riflettori su un partito che è del tutto in ombra, perché non ha alcuna capacità comunicativa avendo buttato fuori, per capriccio, tutti i pochi capaci di averne, per investire su gente che non andrebbe da nessuna parte nemmeno se raccomandata dal Papa.

“Il problema di FI – dice efficacemente un giovane deputato – è che evade la regola secondo cui se c’è qualcuno di promettente, ci investi. In FI lo investono, invece. Sulle strisce”. Non posso dargli torto. Ricordo il sorriso soddisfatto di qualche colonnello bollito quando Pietro Tatarella, giovane e promettente consigliere comunale di Milano e volto tv, venne ingiustamente arrestato (ieri è stato assolto perché il fatto non sussiste dopo cinque anni di gogna e senza difesa): “Se questo è il nuovo, meglio noi…”, si compiaceva. Ci sono eccezioni? Sì. Io ad esempio faccio il tifo sfegatato per uno come Adriano Galliani (protagonista della epopea berlusconiana di successo, e portatore di un dna davvero aderente a quanto Silvio Berlusconi ha sempre predicato). Dopo di che, non posso dimenticare che i proclami “sui sondaggi che ci danno in crescita”, sulle acquisizioni trasformistiche (persino di poltronari grillini) spacciate per attrattività, e sul futuro roseo, sono balle che ascoltiamo da anni, senza crederci noi, figuriamoci gli elettori. Che secondo me, ribadisco, attendono un cambio generazionale coniugato con carisma e supportato da gente di esperienza che aiuti la nuova prima linea, anziché come al solito il contrario. Significa postulare il pensionamento di Tajani e compagni? No. Anzi, ho sempre detto quanto secondo me Tajani fosse depositario, lui e nessun altro, di eccellenti rapporti in Europa, e che doveva essere il nostro Gentiloni. Ma deve osare e gestire la transizione generazionale per consentire a Forza Italia non la certezza di vincere, ma almeno quella di giocarsela con leader giovani e comunicativi quali sono i suoi alleati e avversari. Perché oggi questa certezza non c’è.
Dirlo, non vuole essere né deve essere percepito come un’offesa verso nessuno. Ma anzi vuol essere l’esortazione di un ex (per decisione vostra un po’ stupefacente secondo tutti, e non spetta a me dire se proficua o meno) verso un movimento cui continua a volere bene. Altrimenti, temo che uno sbadiglio vi seppellirà. E io non ne sarei contento.