La transizione energetica è spesso raccontata con numeri: investimenti, gigawatt installati, tonnellate di CO2 evitate. Ma il vero fattore decisivo non è solo tecnologico o finanziario: è umano. Senza un capitale di competenze qualificato e in continua evoluzione, la rivoluzione verde rischia di restare incompiuta.

Entro il 2027 il settore elettrico italiano mobiliterà oltre 100 miliardi di euro di investimenti, con un impatto sul PIL di 85 miliardi e circa 675 mila posti di lavoro attivati. Sono cifre straordinarie, che confermano il suo ruolo strategico per il Paese. Questa crescita, però, è accompagnata da una sfida decisiva: la domanda di professionalità supera già oggi l’offerta. Per installatori, giuntisti, tecnici di campo, ingegneri elettrici o specialisti digitali, i tassi di irreperibilità arrivano al 40–60%. Non basta quindi “moltiplicare i numeri”: occorre ripensare la qualità del lavoro, favorendo profili ibridi capaci di connettere dimensioni diverse. L’energia del futuro chiede competenze tecniche ed elettriche, ma anche digitali, gestionali, economiche e ambientali. Un project manager di un impianto fotovoltaico deve saper integrare ingegneria, energy management, cyber-sicurezza, normative ESG e procurement sostenibile.

In questo quadro la formazione continua è la leva per attrarre, sviluppare e trattenere talenti. Il CCNL di settore, che Elettricità Futura ha contribuito a sottoscrivere, ha introdotto il diritto a 45–50 ore di aggiornamento triennale, trasformando la formazione da strumento accessorio a pilastro della transizione. Ora occorre tradurre questo impegno in opportunità concrete: piattaforme digitali per certificare competenze, percorsi duali che uniscano aula e cantiere, programmi di reskilling rapido per operai provenienti da altri comparti. Strumenti innovativi come il libretto digitale delle competenze permettono di tracciare in maniera trasparente la crescita professionale, rendendo ogni persona protagonista del proprio percorso, con benefici sia individuali sia collettivi. Le nuove tecnologie, e in particolare l’intelligenza artificiale, stanno accelerando questa trasformazione: dalla previsione della generazione rinnovabile alla manutenzione predittiva, dall’ottimizzazione logistica dei cantieri alla gestione dei clienti. Ma non bastano “esperti di AI”: servono team capaci di governarla con responsabilità, senso critico e consapevolezza etica. Altrimenti l’innovazione rischia di restare confinata a pochi progetti pilota, senza incidere davvero sulla competitività del sistema.

Parallelamente, va affrontato il tema della talent scarcity. La demografia non aiuta e la competizione con altri settori – tecnologia, consulenza, finanza – è sempre più agguerrita. Servono nuove strategie: rafforzare l’employer branding della filiera, raccontare i mestieri dell’energia con esempi concreti e numeri chiari, creare percorsi di carriera anche orizzontali che valorizzino le figure operative, sviluppare un welfare contrattuale tra i più avanzati in Europa. La transizione è anche occasione per colmare divari storici. Inclusione significa attrarre giovani e donne, riequilibrare la presenza nei mestieri STEM, trattenere competenze nel Mezzogiorno. Significa offrire prospettive di crescita e stabilità a chi cerca non solo un impiego, ma un progetto di vita. Il capitale umano non è dunque una variabile accessoria, ma il vero motore della decarbonizzazione. Dietro ogni infrastruttura, ogni algoritmo, ogni MW di energia ci sono persone con competenze, visione e valori. Investendo in formazione, collaborazione e valorizzazione del capitale umano, la transizione potrà essere non solo possibile, ma anche giusta e duratura.

Giorgio Boneschi

Autore