Cambiare il futuro
Transizione green, sotto il peso delle bollette cedono anche gli ambientalisti più convinti
Le nuove generazioni sono sensibili alle istanze del pianeta, ma pure economicamente insoddisfatte. I governi europei devono privilegiare la riduzione dei costi per i consumatori nelle politiche climatiche
Uno spettro si aggira per l’Europa: non è l’ideologia, ma il conto in banca. I dati diffusi oggi dal think tank Project Tempo (un’organizzazione no-profit indipendente che sviluppa strategie per la crescita economica e la sostenibilità ambientale) suonano come una sveglia brutale per tutti: il 55% dei cittadini europei e britannici ritiene che il sistema economico “non funzioni più per loro”. Questa frattura strutturale rischia di inghiottire la più grande ambizione politica dell’Unione: la transizione ecologica.
Raccontiamo la battaglia climatica come uno scontro tra scienza e oscurantismo, tra futuro e conservazione. I numeri di EuroPulse, radiografia annuale del sentiment europeo, disegnano una storia diversa. Non c’è un’ondata di negazionismo: il 90% degli elettori ritiene reale il cambiamento climatico e il 64% lo attribuisce all’azione umana. Il problema non è il se, ma il quanto. Cioè: “chi paga?”. Il dato più clamoroso riguarda i giovani. La generazione dei Fridays for Future, quella disposta a tutto pur di salvare il pianeta, sta tirando i remi in barca. L’incremento più marcato dell’insoddisfazione economica (+7% in generale, ma più elevato tra i nuovi elettori) si registra proprio nella fascia 18-24 anni, soprattutto nell’Europa meridionale e orientale. I giovani non sono diventati scettici sul clima, sono più realisti sul proprio futuro. La disponibilità a finanziare la transizione sta calando proprio tra coloro che dovrebbero beneficiarne di più nel lungo periodo. È il segnale che la promessa verde non basta a soddisfare le esigenze di oggi.
Questo scenario pone un problema politico gigantesco per Bruxelles. L’obiettivo simbolo dell’UE – ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 – gode del sostegno del 53% degli elettori. È una maggioranza risicata e fragile, rispetto al passato, pronta a sgretolarsi alla prossima bolletta fuori controllo. L’ambientalismo, se privo di solidità sociale, rischia di essere percepito come un lusso per le élite, mentre il costo della riconversione industriale e della crisi abitativa si scarica sui ceti medi e bassi. Tuttavia, il report di Project Tempo non è un de profundis per il (nuovo?) Green Deal, ma un manuale di istruzioni per la sua sopravvivenza. I cittadini non rifiutano le rinnovabili o l’energia più pulita, per partito preso; sono scettici quando rappresentano un costo astratto. Quando invece l’eolico o il solare vengono associati a benefici tangibili – come bollette più basse o nuovi posti di lavoro – il consenso sale (dal 60% al 71% nel caso dell’eolico locale).
È qui che si deve guardare bene alla mappa dei territori e dei vantaggi, e la politica deve cambiare passo. Il tempo delle prediche è finito; è iniziato il tempo del pragmatismo economico. L’elettore medio si aspetta di vedere i benefici in bolletta entro dodici mesi, non nel 2050. Se i governi europei continueranno a progettare politiche climatiche in cui la riduzione dei costi per i consumatori è un’aggiunta tardiva e non il punto di partenza, il cortocircuito sarà inevitabile. Pandora Lefroy, fondatrice di Project Tempo, ha ragione nel definire il 2025 “un punto di svolta. L’insoddisfazione economica è ormai di larga maggioranza e trasversale. I governi devono ripensare le strategie climatiche affinché la riduzione dei costi per i consumatori sia il punto di partenza – e non un’aggiunta tardiva – nella progettazione delle politiche”, La transizione o sarà economicamente sostenibile per le tasche dei cittadini, o semplicemente non lo sarà.
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