Non deve stupire la grande attenzione che i media, anche quelli del nostro paese, hanno dimostrato e continueranno a mostrare nei prossimi giorni e settimane nei confronti delle elezioni tedesche. Si tratta di uno dei segnali che provano il rilievo che nella Unione europea hanno assunto le vicende politiche degli stati membri, in particolare quando riguardano i maggiori, come Germania, Francia e Italia e specialmente quando si tratta del paese il cui peso nelle decisioni politiche ed economiche dell’Unione è particolarmente significativo.
I risultati delle elezioni tedesche, senza smentire i sondaggi che davano la SPD come partito più votato, sono di particolare interesse e danno delle prime indicazioni sul comportamento dell’elettorato di quel paese. Che è affluito in massa alle urne, senza che – come invece accade in altri paesi – si sia verificato un incremento dell’astensionismo. La partecipazione si è attestata al 76%, stabile rispetto alle elezioni precedenti: un altro indicatore dell’adesione dei tedeschi al loro sistema politico. I risultati del voto pubblicati sin qui mostrano che, pur senza manifestare un significativo mutamento di umore (certo inferiore a quello annunciato dai sondaggi), gli elettori hanno scelto di imprimere un cambio dell’equilibro nei rapporti fra i due maggiori partiti: il socialdemocratico (SPD) ed il cristiano democratico (CDU).
La relativa sconfitta del candidato della CDU (il quale sembra aver ottenuto 50 seggi in meno che alle elezioni precedenti) è meno grave di quanto si poteva temere dagli ultimi sondaggi e rafforza l’ala moderata del partito di Merkel, indebolendo relativamente le posizioni di destra rappresentate dal leader dell’ala bavarese (CSU) Markus Söder. Che comunque rimane forte: tanto che la CDU e la sua variante bavarese CSU resta il primo partito in Baviera e in molte altre regioni cattoliche, mentre quelle a prevalenza protestante hanno preferito la SPD (mentre Alternative fuer Deutschland è forte solo in Turingia e in Sassonia). Insomma, il fattore cultural-religioso conta ancora molto in Germania. Così come acquista sempre più rilievo la differenziazione generazionale. Tra i giovani è infatti relativamente più accentuato il voto ai Verdi (che hanno ottenuto molti meno voti di quanto prevedessero i sondaggi effettuati a giugno e anche quelli di qualche settimana fa – a causa di una campagna elettorale infarcita di errori e delle numerose gaffe della loro leader – ma hanno riportato il risultato migliore della loro storia), mentre i più anziani tendono maggiormente a votare per CDU o SPD.
In Germania, a differenza che, ad esempio, negli Stati Uniti, i voti si contano in fretta e senza significative contestazioni (persino il voto del leader della SPD che ha ripiegato male la scheda – e quindi era riconoscibile – è stato tranquillamente accettato), ma, al tempo stesso, non è facile sapere rapidamente quale sarà la maggioranza di governo. Infatti, i tedeschi attraverso le elezioni scelgono solamente la loro camera dei rappresentanti e non anche un presidente e nemmeno il governo. La Germania, che è un rigoroso sistema parlamentare ed un solido Parteienstaat (stato dei partiti, che i cittadini tedeschi paiono in larga misura gradire), lascia la scelta del governo agli accordi tra le forze politiche e quella del cancelliere al Bundestag, cioè ai gruppi parlamentari.
Per la prima volta, molti ritengono che per formare il governo sarà necessario un compromesso a tre invece che, come per il passato, fra due partiti. In realtà, anche questa volta una maggioranza sarebbe in teoria possibile grazie a un accordo fra i due soli maggiori partiti: i socialdemocratici e i cristianodemocratici. Ma non è affatto chiaro se sarà questa la coalizione che si imporrà attraverso i negoziati che si apriranno ben presto. Resta infatti la possibilità di almeno altre due alleanze, che però richiedono un accordo in qualche modo più laborioso, per la prima volta, fra tre partner: o la CDU, i liberali e i verdi, oppure la SPD con gli stessi due alleati. Si capirà già nei prossimi giorni se una riedizione a ruoli scambiati della tradizionale Grande coalizione è possibile o meno. In caso contrario saranno i Verdi a decidere con chi dei due grandi partiti governare provando a trovate un accordo con il terzo da includere: il partito liberale di Christian Lindner.
La cattiva reputazione dei partiti in Italia fa superficialmente pensar male di un sistema politico in cui sono i partiti, in certo senso da soli, che decidono dell’esecutivo. E non la maggioranza dei votanti. Ma c’è in questa idea una sottovalutazione del ruolo dei partiti in una democrazia e una sopravvalutazione del ruolo degli elettori. Nel Regno Unito esiste praticamente da sempre un sistema bipartitico (oggi, peraltro, in crisi a causa della nascita del partito nazionalista scozzese), stabilizzato da una formula elettorale che tiene le porte quasi completamente chiuse ai terzi possibili entranti, e che normalmente permette di sapere quale dei due partiti governerà la Camera dei comuni e l’esecutivo fino alle successive elezioni.
Ma in sistemi politici caratterizzati dalla frammentazione partitica, le coalizioni sono necessarie perché non c’è modo che governi – come nel Regno Unito – un solo partito, dato che in Germania, come anche in Italia e in Francia, ormai il primo partito non raccoglie più di un quarto dei voti espressi. Si potrebbe sostenere che le coalizioni devono essere stabilite prima delle elezioni e non dopo, di modo che gli elettori sappiano chi si alleerà con chi dopo i risultati elettorali. Ci sono buone ragioni a favore di un tale argomento, ma esso si scontra da un lato con il principio costituzionale del mandato libero degli eletti e dall’altro contribuisce a squalificare il ruolo dei partiti nella vita politica e dunque la loro funzione di mediazione, necessaria in ogni governo rappresentativo. Mettere gli elettori contro i partiti può essere un gioco pericoloso.
Le spiegazioni che si appoggiano sulla differenza fra, per esempio, italiani e tedeschi, hanno un sapore di pigrizia mentale. Certo, contano la storia e le diverse culture. Ma piuttosto che contrapporre il popolo sovrano ai partiti – considerati spesso nel nostro paese per loro natura cattivi ed inaffidabili – bisognerebbe provare a fare qualcosa perché i partiti migliorino se stessi e divengano maggiormente oggetto di fiducia da parte degli elettori. Non si è mai visto nel mondo moderno un popolo che si governa da solo, senza intermediazione.
