Le prime elezioni federali dell’era post-Merkel. La Germania orfana” della sua “cancelliera di ferro” alla ricerca di nuovi equilibri. Un centro in crisi di leadership e le prospettive di un governo rossoverde. La Germania al voto. Un voto che interessa, e molto, l’Europa. Il Riformista ne discute con uno dei più autorevoli conoscitori del “pianeta tedesco”: Gian Enrico Rusconi, professore emerito di Scienza politica dell’Università di Torino. Per alcuni anni Gastprofessor presso la Freie Universitaet di Berlino. Tra le sue pubblicazioni: Germania Italia Europa. Dallo Stato di potenza alla ‘potenza civile’ (Einaudi 2003, trad. tedesca, 2006); La reinvenzione della Germania (Laterza 2009); Cavour e Bismarck (il Mulino 2011; trad. tedesca 2013); Dove va la Germania? La sfida della nuova destra populista (Il Mulino, 2019).

Domenica prossima, la Germania va alle urne. Un voto in qualche modo storico, trattandosi delle prime elezioni federali post-Merkel. Quali sono, a suo modo di vedere, i tratti politici di questa competizione elettorale?
Non mi avventurerei in “profezie” e ci andrei cauto nello sposare sondaggi e narrazioni giornalistiche non propriamente accurate. Premesso ciò, un dato che emerge è la difficoltà del centro, Cdu-Csu. Su questo non c’è ombra di dubbio. Una difficoltà di leadership prim’ancora che di proposta politica. Non si sostituisce facilmente una leader forte come ha dimostrato essere nei suoi 16 anni di cancellierato Angela Merkel. Si può essere o no d’accordo con quanto ha fatto, ma è indubitabile che la Merkel sia riuscita in una impresa eccezionale…

Quale, professor Rusconi?
Riuscire a tenere insieme un po’ tutto, calmierando, se così si può dire, anche le spinte più conservatrici interne al suo partito e soprattutto agli alleati bavaresi. Ancora una volta emerge l’importanza delle persone. Merkel, e adesso Scholz. I punti chiave, secondo me, sono i seguenti: la Cdu-Csu sta perdendo consensi, anche per stanchezza da parte degli elettori. La cosa più interessante, altro punto chiave, e che a trarre vantaggio della crisi del centro non è l’estrema destra. Alternative für Deutschland (AfD) non sfonda. Si temeva che potesse approfittare se non della crisi certo delle grandi difficoltà che sta incontrando la Cdu-Csu, e invece no, non si muove. Il che vuol dire che la cultura e la società tedesche sono ormai stabilizzate al centro e a sinistra. Sono ancora i partiti tradizionali al centro della partita elettorale. Ma tutti dovranno fare i conti con il vuoto lasciato dalla Merkel. Perché da anni in Germania il ruolo e la personalità della cancelliera hanno in qualche modo concentrato in lei “la politica nazionale tedesca”. Gli ultimi sondaggi danno la Cdu-Cus sotto il 20%. Dal 2018, quando Merkel ha lasciato la guida della Cdu, sono cambiati due presidenti e nessuno di loro è riuscito a ridare la stessa sicurezza e lo stesso senso d’unità al partito. La stessa candidatura di Armin Laschet è avvenuta nel silenzio e nel disinteresse più totale della base e dei vertici.

All’orizzonte non s’intravvede dunque una “nuova Merkel”?
Direi proprio di no. Non ci sarà una Merkel 2. In campo vi sono brave persone ma nessuna di loro ha la personalità che aveva Angela Merkel. Non si governa per 16 anni un Paese complicato come la Germania se non sei una personalità forte, direi pure carismatica, sia pure “alla tedesca”. Oggi si scopre che la personalità gioca un ruolo importante piuttosto che le posizioni formali dei partiti.

E del candidato cancelliere della Spd, attuale ministro delle Finanze, Olaf Scholz, cosa si può dire?
In una battuta, si potrebbe dire che è un “usato sicuro”. Scholz è un socialdemocratico di lungo corso, ha già ricoperto incarichi importanti a livello di governo federale. Ha esperienza più che carisma. Ed è un socialdemocratico “moderato”, e come tale può tranquillizzare un elettorato di centrosinistra che non ama fughe in avanti soprattutto su temi scottanti come l’immigrazione e la sicurezza. Nell’ascesa di Scholz ha giocato un ruolo importante anche la difficoltà che hanno incontrato i suoi avversari nell’attaccarlo. Laschet e tutta la Cdu hanno cercato di impaurire l’elettorato moderato, affermando che il voto per Scholz sarebbe stato, alla fine, un voto per l’ala sinistra del partito. Questa linea di attacco si è dimostrata poco efficace: certamente Scholz ha definito un programma fortemente orientato in senso sociale, ma, in qualità di vicecancelliere e ministro delle Finanze, ha portato avanti una linea moderata sia in Germania che nell’Unione europea. Mentre la Spd ha riguadagnato terreno grazie a questo suo riformismo moderato, la Cdu ha continuato a insistere su motivi conservatori, giocando sul vecchio spauracchio del candidato «rosso» e «alleato segreto» dei paesi del Sud Europa che sfruttano il povero contribuente tedesco. Ma gli ultimi sondaggi dimostrano che la carta che la Cdu/Csu ha cercato di giocare, il rischio di «un’onda rossa», di un governo tra socialdemocratici, Verdi e Linke, non funziona. I tedeschi non ci credono o non sono particolarmente terrorizzati dalla prospettiva di un governo progressista. E sembrano aver capito che Scholz, che arriva dalla destra del partito socialdemocratico, non ha alcuna intenzione di fare un’alleanza con la Linke. Insomma, Scholz non è il classico “socialista”. Come Merkel non era lo stereotipo del “democristiano” classico. Di nuovo, emerge l’importanza della personalità che aiuta a superare le difficoltà e a fare sintesi, per usare un vecchio linguaggio della politica. Detto questo, si tratta di non cadere nell’errore opposto…

Vale a dire?
Una personalizzazione “tout court” che cancella o comunque surroga l’identità politica del partito. Così non è. Almeno non lo è in Germania, Paese in cui la politica è ancora strutturata e i partiti non sono solo tweet, social media e immagine. Siamo in una fase di transizione, di passaggio. E in questo scenario, la possibilità che, per la prima volta dal 2005, in Germania la Cdu non vada al governo è realistica. In ogni caso, è evidente che qualcosa stia cambiando nella politica tedesca, a cominciare dai rapporti di forza.

In questa fase di passaggio, che ricaduta può avere una Germania in transizione sull’Europa?
Lei tocca un punto cruciale sul quale sto riflettendo. Butto giù alcune idee, forzando i concetti per onor di chiarezza. Anzitutto, che la Germania assuma un ruolo non dico egemonico, che è una brutta parola, ma di orientamento per questa Europa. Mettiamola così: se l’Europa non ha una Germania che guida, finisce in un angolo, non è né carne né pesce. Come adesso: guardi cosa stanno combinando i francesi, che non trovano di meglio che litigare pure con gli australiani… I tedeschi dovrebbero avere il coraggio di assumersi un ruolo di orientamento, quello che, in virtù della sua spiccata personalità, Merkel aveva esercitato. So bene che quando si parla di “centralità tedesca”, di ruolo guida, vecchi fantasmi del passato possano riemergere. Ma una Europa che non sia a “trazione tedesca” è una Europa condannata alla marginalizzazione su scala globale, economica, geopolitica. Uso la parola “orientamento” non a caso, perché è stata la stessa Merkel a suo tempo a utilizzarla per indicare la funzione della Germania in una Europa politicamente e istituzionalmente forte. Aspettiamo che i tedeschi si assumano una maggiore responsabilità anche a livello generale. Si pensi, per fare un esempio, all’ oleodotto North Stream 2, secondo braccio del gasdotto controllato da Gazprom e fortemente voluto dalla Germania, che collega direttamente Russia e Germania, bypassando altri Paesi dell’Europa orientale. Si tratta di qualcosa politicamente molto importante, ma nessuno osa dire che a questo punto occorre avere un rapporto diverso con la Russia. È come se i tedeschi stessero facendo delle cose rilevanti ma poi non hanno il coraggio di dare a queste scelte una identità precisa. Il passato non può né deve essere cancellato ma non può essere una gabbia che imprigiona il futuro dell’Europa. La questione cruciale è che la Germania trovi il suo posto di nazione di orientamento, naturalmente senza forme egemoniche, cosa che in parte ha fatto Angela Merkel come persona. Il punto è che a me pare molto difficile trasformare una persona in un partito.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.