Che il ghost writer di Zelensky fosse un genio lo sapevamo già. Il presidente ucraino aveva già incantato i parlamenti del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Germania. Agli inglesi aveva ricordato l’esempio di Winston Churchill. Con gli americani aveva richiamato Pearl Harbour e l’11 settembre. Per i tedeschi si era giocato la metafora del Muro tra Europa e Ucraina che bisognava abbattere. Con Israele, viceversa, non era andata così bene. Zelensky è ebreo ma i paragoni con la Shoah e con la “soluzione finale” sono stati rispediti al mittente: per la Knesset, il parlamento israeliano, erano ai limiti della blasfemia. Che strategia, invece, con il parlamento italiano?
Dopo l’uso mirato della storia degli altri per attirare sostegni alla causa ucraina, la prima cosa che tutti si aspettavano era un richiamo alla resistenza italiana, all’impegno dei partigiani, alla lotta di liberazione. Ma Zelensky ha evitato qualsiasi cenno all’argomento. Probabilmente, chi lo ha aiutato a preparare il discorso gli ha spiegato che il tema è ancora scottante e divisivo per gli stessi italiani. La resistenza è stata anche una guerra civile: gli strascichi di quella divisione continuano ancora oggi ad ogni celebrazione del 25 aprile quando gli eredi della tradizione fascista e quelli della resistenza partigiana continuano a contrapporsi. In più, al presidente ucraino è forse arrivato l’eco delle polemiche di questi giorni. Dall’inizio dell’invasione russa molti commentatori italiani paragonano la resistenza ucraina a quella italiana. Nella reazione armata del popolo invaso, con migliaia di civili che imbracciano le armi contro l’esercito russo, c’è un parallelismo evidente con la lotta per la libertà dei partigiani italiani in rivolta contro l’esercito nazista. Ma non tutti la pensano così. Alcuni commentatori, nella gran parte antifascisti militanti convertiti al pacifismo assoluto, negano il confronto tra i due casi. Così Zelensky glissa. Anche il flop del paragone storico formulato al parlamento israeliano può averlo indotto a più miti consigli. Meglio evitare di calpestare un suolo troppo scivoloso. Con il rischio di suscitare contrapposizioni e trasformare un’opportunità in un boomerang.
Allo stesso modo, Zelensky non insiste più di tanto sugli aiuti militari. L’Italia non è il Regno Unito né, tantomeno, l’America. Sul piano squisitamente bellico, il nostro paese ha pochino da offrire. Nell’opinione pubblica italiana il ripudio della guerra è molto forte. Così come sono consistenti le resistenze alla fornitura diretta di armi all’Ucraina. Ma c’è qualcosa di peggio. A livello internazionale è noto a tutti – dunque anche a Zelensky – che, subito dopo l’Ungheria di Viktor Orban, l’Italia è stato finora il paese più filorusso dell’occidente. Tutti conoscono gli strettissimi legami tra Lega e M5s e il partito Russia Unita di Putin così come la corrispondenza di amorosi sensi con Mosca coltivata da Giuseppe Conte quando era capo del governo. Per qualche anno l’Italia è stata il luogo dell’esperimento dell’internazionale populista e antiliberale ispirata, da parte americana, da Steve Bannon, il consigliere di Donald Trump, e, da parte russa, da Alexander Dugin, l’ideologo di Vladimir Putin. Ancora fino a un mese fa, prima dell’invasione dell’Ucraina, alcuni membri della coalizione di governo erano aperti ammiratori del tiranno russo. Insomma, è già un miracolo che oggi l’Italia sia pienamente rientrata nei ranghi dell’alleanza atlantica e della famiglia europea grazie alla determinazione di Sergio Mattarella e di Mario Draghi.
Volodymyr Zelensky lo spiega bene verso la fine del suo discorso: “L’obiettivo è l’Europa, è il controllo sulla vostra politica e la distruzione dei valori europei. L’Ucraina è il cancello per entrare in Europa, ma la barbarie non deve entrare”. Eppure la narrativa del presidente ucraino è soprattutto “sentimentale”: uno stile ritenuto evidentemente più adatto per il pubblico italiano. Non a caso, l’incipit del messaggio del presidente ucraino è dedicato al Papa. Zelensky riporta un colloquio privato avuto con Francesco. “Capisco che voi desiderate la pace e capisco che dovete difendervi: i militari e i civili difendono la propria patria”, avrebbe detto Bergoglio a Zelensky. Che ha risposto: “il nostro popolo è diventato l’esercito”. E davvero non poteva esserci endorsement migliore di un commento del Papa per giustificare una legittima difesa – armata – in un appello rivolto agli italiani. Zelensky ricorda poi i 117 bambini uccisi finora, le famiglie distrutte, le case abbandonate, i corpi sepolti nelle fosse comuni. Tutte responsabilità di Vladimir Putin. Quindi un richiamo a Genova, la città che ha le stesse dimensioni di Mariupol, la città ucraina distrutta e martirizzata dalle devastazioni russe, e a Roma, per sottolineare il bisogno di pace di Kiev. Il ricordo doloroso dell’occupazione nazista in tutta Europa. La richiesta di fare tutto il possibile, rafforzando le sanzioni, per impedire a Putin di usare soldi per la guerra: “fermare una sola persona perché vivano in milioni”. Ma, sopra ogni cosa, un caldo ringraziamento agli italiani per l’accoglienza dei profughi ucraini e per gli aiuti alla popolazione che vive sotto le bombe.
La vera sorpresa di ieri, tuttavia, viene dopo il messaggio di Zelensky. Il breve saluto di Mario Draghi è una bomba che in pochi minuti diventa la notizia principale sulla stampa internazionale. Il premier italiano non solo definisce “eroica” la resistenza locale – con tanto di pausa e di richiesta di applauso – ma chiede a gran voce l’adesione dell‘Ucraina all’Ue. “L’Italia vuole che l’Ucraina aderisca all’Unione europea. Voglio dire al presidente Zelensky che l’Italia è al fianco dell’Ucraina in questo processo”, dice Draghi con una partecipazione – quasi più emotiva che politica – che non avevamo ancora visto. La sensazione è che, con il messaggio di Draghi di ieri, Roma diventi la capofila di coloro che sostengono la richiesta di Kiev di entrare nell’Unione. “Oggi l’Ucraina non si limita a difendersi”, dice Draghi. “Difende la nostra pace, la nostra libertà, la nostra sicurezza. Difende quell’ordine multilaterale basato su regole e diritti che abbiamo faticosamente costruito dopo la guerra”. Parole forti e impegnative che non nascondono la lunghezza e la difficoltà del percorso: Draghi ricorda che l’adesione richiede riforme per garantire una “integrazione funzionante”, ma l’Italia è pronta a sostenere lo sforzo. Non sarà facile per le resistenze di alcuni paesi membri. Tuttavia, spiega Draghi, con una voce tremante e commossa che ascoltiamo per la prima volta, “quando l’orrore e la violenza sembrano avere il sopravvento, è proprio allora che dobbiamo difendere i diritti umani e civili e i valori democratici. L’Ucraina ha il diritto di essere sicura, libera, democratica”. Non solo con l’assistenza umanitaria ma anche con “gli aiuti militari alla resistenza”, assicura il premier. “Di fronte all’inciviltà, l’Italia non intende girarsi dall’altra parte”.
