Messo alla gogna e perseguitato da De Pasquale
Addio all’assessore Colucci, inseguito con le manette in ospedale e fatto sfilare in barella davanti alle telecamere
Mentre ricordavamo, con l’articolo della sua compagna Francesca, “L’inutile martirio di Enzo”, diventato il simbolo della cattiva giustizia, ci lasciava a Milano Michele Colucci, grande socialista e pure lui diventato simbolo di quel che abbiamo scritto quel giorno: “L’Italia è ancora in mano ai signori della gogna”. Fu la gogna più violenta e disumana – mai si era visto e in seguito si vedrà qualcosa di simile – quella che colpì Michele Colucci quella notte del 1992. Mi piace ricordarlo però prima di tutto per come era, il brindisino Michele, il socialista generoso e per bene, appassionato di pesca come il fratello Ciccio (che fu anche presidente della Federazione Italiana pescatori), approdato a Milano negli anni sessanta, descritto oggi in un’immagine firmata “Gli amici e i parenti” della sua Puglia come il compagno che “Ti ascoltava con interesse sincero e partecipato e ti dimostrava, senza ombra di dubbio, che ti aveva compreso in ogni tua emozione, in ogni tuo bisogno”.
Pronto ad aiutare tutti, come lo ricorda anche Serafino Generoso, che condivise con lui le ingiustizie dei primi anni novanta (due volte arrestato, due volte assolto). Così erano i politici di un tempo. Immagino ne abbia un ricordo diverso il pubblico ministero Fabio De Pasquale, e anche gli uomini della Guardia di Finanza che lo inseguirono con le manette di ospedale in ospedale, mentre era stato appena operato e poi mentre era collassato, fino a farlo sfilare in barella davanti alle telecamere, mentre giornalisti assatanati cercavano gli infilargli il microfono tra le labbra e le cannucce dell’ossigeno. Fu la Grande Gogna della giustizia ma anche dell’informazione, quella notte. Non piacque neanche al procuratore Saverio Borrelli, che se ne lamentò. Dobbiamo aggiungere che, a trent’anni da quei fatti, non c’è traccia di condanne? Inutile.
Michele Colucci era stato assessore ai servizi sociali e in seguito capogruppo del Psi alla Regione Lombardia, che sarà l’ultima governata da un pentapartito. Il Presidente era un democristiano, come tutti i suoi predecessori, Giuseppe Giovenzana. Siamo nel maggio 1992, sono i primi mesi delle inchieste dopo l’arresto di Mario Chiesa, Tonino di Pietro già spopola sui giornali e tv, quando un altro pm milanese, Fabio De Pasquale, che non è interno al pool, ma come la gran parte dei colleghi è uomo di sinistra e altrettanto attivo, apre un’inchiesta su corsi di formazione professionale finanziati dalla Regione Lombardia con fondi della Comunità economica Europea. Nel mirino c’è l’assessore della partita, Michele Colucci, ma le indagini si sviluppano subito ad ampio spettro, fino a coinvolgere tutta la giunta e altri, 48 persone in tutto. Secondo l’accusa qualcuno aveva fatto un affare da 200 miliardi di lire, mentre Giovenzana e i suoi colleghi di giunta avevano addirittura cambiato le carte in tavola, modificando in corso d’opera il contenuto della delibera sull’uso dei finanziamenti, in seguito a un accordo politico con Colucci. Il quale era accusato di aver gestito i soldi senza mai fare i corsi.
Per la cronaca: tutti gli assessori assolti sette anni dopo. Naturalmente intanto la giunta era caduta. Seguirà il primo governo regionale rosso-verde. Il pm De Pasquale e il gip inizialmente mandano Colucci, convalescente da un’operazione, ai domiciliari in una sua casa della campagna pavese. Ma poi lo vogliono in carcere. Evidentemente non erano stati sufficienti gli striscioni e i volantini che lo bollavano come “ladro” con cui era stato accolto al paese, era ora di preparare la “Grande Gogna”. Davanti a una piccola folla urlante (allora erano i leghisti a svolgere il ruolo che sarà poi dei grillini), una notte quattordici agenti con mitragliette spianate avevano fatto irruzione nella villetta di Colucci e lo avevano prelevato per portarlo nella caserma milanese di via Fabio Filzi, dove lo aspettavano i magistrati per interrogarlo.
Ricordare le scene di quella sera fa male al cuore. L’esibizionismo degli agenti che arrivavano alla caserma a sirene spiegate portando con sé i candidati al carcere e, pur potendo entrare in auto dal passo carraio, preferivano fermarsi davanti all’ingresso principale per far sfilare a piedi ogni indagato davanti ai giornalisti. Michele Colucci non si regge, lo trascinano tenendolo sotto le ascelle due agenti. Entra e crolla a terra, collassato. Uscirà dalla caserma per salire in ambulanza, ma ancora sfilando in barella, mentre i giornalisti gli si accalcano intorno, cercano di farlo parlare, ignorando il suo pallore e la somministrazione dell’ossigeno. È stata, quella notte, forse la più brutta pagina di tutta Tangentopoli, dal punto di vista dell’informazione e della giustizia. “Chi vive per gli altri vive per sempre”, hanno scritto i familiari nel necrologio. Ricordiamolo così.
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