Esteri
Alla Casa Bianca si parla già del dopo guerra: Tony Blair gran consigliere per gli affari di Trump a Gaza
Senza fare clamore, nel minimo inevitabile, alla Casa Bianca si è svolto mercoledì sera un incontro fra Donald Trump, il suo segretario di Stato Marco Rubio e personaggi un po’ fuori dal proscenio. Stiamo parlando dell’ex primo ministro inglese laburista Tony Blair e del genero dello stesso Presidente, Jared Kouchner, un dinamico giovanotto che, durante il primo termine di Trump, era diventato il suo ambasciatore personale in Israele, ma sembrava defilato dalla politica di prima linea. Ora Kouchner lo ritroviamo fra i tessitori del piano di rinascita economica di Gaza, che è certamente complicato ma che, malgrado la guerra, ha fatto decisivi passi avanti.
C’è di mezzo molto di più di un piano per fare della striscia un’amena località turistica che il Presidente americano vorrebbe trasformare in una riviera. Torna infatti alla ribalta quell’alleanza di Abramo bloccata dall’infame strage e pogrom del 7 ottobre 2023, che aveva e ha ancora un fine geopolitico di portata enorme: cacciare tutte le milizie “proxy” dell’Iran, colpire il Paese di Khamenei rallentandone gli sviluppi nucleari e realizzare in miniera solida una alleanza economica, politica e, se necessario, militare che isoli il mondo sciita filorusso e inneschi un boom economico in tutti i Paesi arabi filoccidentali. Lo conferma il fatto che alla riunione abbia partecipato l’ex primo ministro laburista inglese Tony Blair che compare a sorpresa, ma la sorpresa è solo per il pubblico più distratto. Tony Blair dispone di un facoltoso Think Tank che studia e investe da decenni cercando di trovare una soluzione politica accettabile per i palestinesi di Gaza.
I progetti sono stati certamente rallentati, quasi messi in frigo, a causa della guerra fatta scoppiare il 7 ottobre del 2023. Adesso che la guerra è prossima a una soluzione, la Casa Bianca ha fatto sapere di essere favorevole a una amministrazione civile dell’Autorità palestinese, oggi presieduta dallo screditato Abu Mazen, purché offra una fase di stabilità. Il gruppo di studio americano cerca una soluzione che mantenga Gaza sotto autorità islamiche, ma direttamente coinvolte nel grande giro di affari che si prospetta e su cui sono pronti a investire non solo in denaro, ma anche in tecnologia, gli imprenditori sunniti, a partire dall’Arabia. Donald Trump è comunque deciso a dare una svolta imprenditoriale turistica a una terra, quella di Gaza, che potrebbe essere molto spendibile per una Palestina bonificata da Hamas e monitorata.
L’incontro, benché non fosse segreto, è stato accuratamente protetto dal basso profilo, visto che la situazione Gaza è ancora incandescente, ma più per la situazione degli ostaggi che per l’andamento delle operazioni di rioccupazione della Striscia da parte di Israele. Trump ha voluto far sapere di aver dato luce verde al progetto di trasformare la Striscia in un motore di grandi affari con i Paesi Arabi e Israele insieme agli Stati Uniti per ripartire proprio dal progetto degli Accordi di Abramo con il potente contributo dall’Arabia Saudita, storico nemico dell’Iran. Si apre dunque non solo una nuova partita ma una nuova pagina che avrà effetti anche sulla guerra in Ucraina e che potrebbe attirare anche la Turchia di Erdoğan, attualmente pendolante verso il mondo islamico e in una fase antioccidentale. E certamente il nuovo processo può fare di Gaza un polo economico che non escluda i palestinesi, ma che anzi li coinvolga.
La prima ricerca sugli abitanti di Gaza fu fatta nel settembre 1967 quando il censimento rivelò che Gaza aveva una densità di abitanti arabi egiziani più piccola di quanto prevedesse l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che monitora i rifugiati palestinesi, rispetto alla Gaza di oggi che supera i 15mila abitanti per chilometro quadrato. La storia di quella striscia, che secondo la Bibbia era abitata dai Cananei, discendenti del patriarca Noè, fu arabizzata insieme a tutta l’area che fa da confine all’Egitto e alla penisola del Sinai. Quella striscia fece parte del bottino territoriale di guerra dello Stato di Israele nato e immediatamente invaso nel 1948. Gaza diventò un’appendice di Israele. Io la vidi insieme a migliaia di giornalisti di tutto il mondo il 1° luglio del 1994, quando Yitzhak Rabin – primo ministro israeliano – consegnò le chiavi di Gaza al Presidente dell’Olp Yasser Arafat con il programma di un decennio di transizione per ricollocare tutti i coloni ebrei, come accadde.
Rabin, Arafat e Shimon Peres ebbero ciascuno un Premio Nobel per la Pace per aver portato a termine la delicatissima operazione promossa dal presidente americano Bill Clinton, che fu candidato anche lui al Premio Nobel. La Striscia era incantevole, la popolazione araba e quella ebraica coltivavano intensamente delle gigantesche serre grazie a un formidabile impianto di realizzazione dell’acqua marina. Tutti gli impianti e le serre furono consegnati, secondo gli accordi di Oslo presi nel 1993, all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
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