Condannato all'ergastolo
Arrestato Giacomo Bozzoli, era nella sua villa di Soiano sul lago di Garda. Latitanza finita dopo 11 giorni in fuga
11 giorni. Tanto è durata la latitanza di Giacomo Bozzoli, l’uomo condannato lunedì scorso all’ergastolo per l’omicidio dello zio Mario l’8 ottobre 2015, e improvvisamente sparito nel nulla lo scorso 24 giugno all’alba, più precisamente alle 5.51 del mattino, quando era stato registrato un passaggio della sua Maserati Levante dal portale di Manerba, in provincia di Brescia, e due minuti più tardi da quello di Desenzano. Una fuga proseguita tra misteri e suggestioni, fin quando la moglie Antonella e il figlio di nove anni in viaggio con lui, sono rientrati in Italia in treno. La volontà di Giacomo di proseguire la latitanza è stata annunciata dai genitori della donna, che sono andati ad accoglierli alla stazione di Chiari. Soltanto ieri invece suoi figlio è stato accolto in procura, in audizione protetta con il supporto di psicologi forensi.
Il rientro in Italia
Il rientro di Giacomo Bozzoli, secondo le prime ricostruzioni degli investigatori, sarebbe iniziato in Spagna. La scelta di passare per la Francia, viaggiando su un’auto a noleggio, poi avrebbe attraversato il confine italiano nelle prime ore di oggi, giovedì 11 luglio. “Lo abbiamo rintracciato all’alba – ha dichiarato il procuratore – e attraverso telecamere e altri sistemi di sorveglianza, abbiamo capito che poteva essere a casa sua”. Ai carabinieri che lo hanno arrestato e portato in caserma, Giacomo Bozzoli ha dichiarato di essere innocente.
La fuga a Marbella
Qualche giorno fa lo aveva riconosciuto una receptionist dell’Hard Rock hotel di Marbella. Certa che quel cliente dell’albergo fosse proprio lui. A sud della Spagna, il documento falso del 39enne bresciano era stato registrato il giorno prima del verdetto della Cassazione. Così gli inquirenti italiani hanno chiesto di accedere al sistema di video sorveglianza dell’albergo per verificare della sua presenza al resort, e la polizia spagnola ha riferito alle autorità italiane di avere i fotogrammi di un video delle telecamere interne.
Giacomo Bozzoli e l’omicidio dello zio
I fatti risalgono all’8 ottobre 2015 quando Giacomo litigò con zio Mario 52 anni, e lo uccise gettandolo nel forno della fonderia di famiglia, a Marcheno, vicino Brescia. Fu una fumata anomala a bloccare l’impianto. Era convinto che lui intralciasse i suoi progetti di lavoro e di guadagni. Un rapporto di odio di cui non si faceva mistero. Secondo i giudici di appello, Giacomo Bozzoli aveva un “odio ostinato e incontenibile” nei confronti dello zio, che era titolare della fonderia al 50% con il padre di Giacomo, Aldo, tanto da ritenere la vittima “colpevole sia di lucrare dalla società dei proventi sia di intralciare i suoi progetti imprenditoriali”. Ma nel caso rientra anche la morte dell’operaio Giuseppe Girardini, addetto al forno, che si suicidò ingerendo una capsula di cianuro. Secondo la procura aveva il ruolo di complice nell’omicidio: fu una delle ultime persone ad aver visto Mario Bozzoli in vita. Teste chiave del processo, l’ex fidanzata Jessica: “Mi disse che avrei dovuto prender la sua auto e percorrere l’autostrada in modo che il telepass rilevasse il passaggio”. Un depistaggio. Lui nel frattempo avrebbe ucciso lo zio.
Giacomo Bozzoli, la condanna in tribunale
La storia proseguì in tribunale, poi in appello, dove alcune giorni fa è stata confermata la condanna a Bozzoli all’ergastolo per omicidio aggravato. La sentenza del carcere a vita è diventata definitiva lunedì 1 luglio. Ma di lui nessuna traccia. Il pericolo di fuga non gli era stato mai contestato: “Bozzoli è sempre stato disponibile e reperibile. Altrimenti avremmo agito in modo diverso – ha dichiarato il magistrato Pier Luigi Maria Dell’Osso -. Nell’ultima settimana, magari, in previsione della sentenza fissata in Cassazione, si è portati a ritenere che fosse in qualche modo monitorato”; e anche lunedì scorso, durante all’udienza Roma, suo padre Adelio e fratello di Mario si era detto convinto che Giacomo fosse alla casa sul lago.
L’aiuto della moglie
Negli interrogatori sua moglie, Antonella Colossi ha nascosto invece la verità tra i i tanti “non so” e “non ricordo”. Ora la donna ai sensi dell’articolo 390 Codice Penale rubricato Procurato inosservanza di pena rischia la reclusione da tre mesi a cinque anni per aver aiutato il marito a sottrarsi all’esecuzione della pena.
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