Missione compiuta. Abbiamo una star. Caparbia, tenace, dura come il marmo, determinata ed equilibrata. Che dà corpo all’augurio di una tifosa eccellente, Federica Brignone, la discesista che da Cortina gli dice: “Make Italia great again”. Jannik Sinner ce l’ha fatta, e nel modo migliore possibile. Rimontando due set contro un grandissimo avversario, e offrendo al mondo la certezza che può battere chiunque anche nella sua giornata storta, nella partita che si mette male.

“Vorrei che tutti avessero i miei genitori, che mi hanno sempre lasciato libero di scegliere cosa fare secondo libertà”, le sue prime attesissime parole dopo i complimenti di rito ad avversario, organizzatori, e team di lavoro, tanto lavoro, sul palco del vincitore, il primo italiano nella storia dell’Australian Open. A 22 anni.

Un passo indietro. Domenica mattina, ci siamo. È il grande giorno. Tutta Italia attende la consacrazione del suo figlio di sfacciato talento, dall’altra parte del mondo. Bellissime le tribune tinte di azzurro e tricolore. John McEnroe, Tim Henman e Mats Wilander all’unisono: “Vince Sinner al massimo in quattro set”. Sarà anche per questo che per quanto freddo, Sinner è teso. Il braccio è più lento del solito, meno fluido e piegato sulle gambe, specie sulle palle più basse generate da quel furbone di Medvedev che gioca piatto, la prima entra poco. Normale. È la sua prima finale slam.

E Medvedev è più a suo agio. Questione di confidenza: ne ha già giocate diverse, e qui è alla terza. Serve benissimo, è più sciolto. Così, quasi subito, strappa il servizio a Jannik. È la sveglia che serve, e che scioglie il braccio di Sinner. Che si mette a inseguire l’orsacchiottone russo. Che però non si scompone e a sorpresa si muove bene, malgrado abbia nelle gambe sei ore di partita in più rispetto al nostro. Risponde vicino alla linea di fondo (chi l’avrebbe detto), e gli toglie angolo per aprirsi il campo, anticipa fluido la palla. In 36 minuti vola via il primo set: 6-3 per il russo. Secondo set perso da Sinner in tutto il torneo.

Per sciogliersi serve correre, sudare. E Sinner è costretto a farlo da subito nel secondo set, dove salva quattro palle break, per poi cedere i due servizi successivi. Jannik deve variare maggiormente il suo gioco per togliere ritmo a Medvedev che sembra danzare sul campo. Ma dal 1-5 paradossalmente c’è più partita. Sinner recupera un break al russo e ha la palla break per recuperare anche il secondo e riportarsi sotto, 4-5 servizio in mano. Sarebbe un duro colpo per Medvedev che aveva il secondo set a portata di mano. Il russo sente la pressione e infatti cicca il primo set point (doppio fallo), è costretto a salvare una seconda palla break, ma chiude il secondo set con un dritto deciso. La fine del secondo set, ancorché perso, può essere il germoglio della rimonta. Sinner lo sa, e alla sua panchina dice: “Mi manca poco”. Ma a questo punto Sinner deve cambiare per forza. Come fece Rafa Nadal due anni prima, sotto proprio con lo stesso Medvedev due set e un break, accorciando gli scambi e attaccando molto di piu’ con continue discese a rete che mettevano sotto pressione il russo.

Il terzo set è equilibrato, Sinner più sciolto, Medvedev comincia a sentire le sei ore di tennis che ha in più nelle gambe. Si va dritti, senza palle break, fino al 5-4 Sinner. Lì, la svolta. Serve il russo, vince il rosso. Game, set.

A questo punto l’inerzia si inverte. Medvedev è più stanco, Sinner più fiducioso. Tiene il servizio col piglio del nuovo padrone della partita, e appena serve Medvedev ecco subito una palla break, che il russo annulla. Idem nel suo secondo turno di battuta. Poi tocca a Sinner fare lo stesso, sul suo servizio. Con due ace, come fanno i grandissimi. È un corpo a corpo. Punto su punto. Fino al 5-4 Sinner, servizio Medvedev. Sinner spreca due occasioni clamorose, ma al primo set point prende il coraggio a due mani, aggredisce con un drittone sulla seconda di Medvedev e si porta in pari. Quinto set.

Da ora, tutti attendono la svolta definitiva a favore di Sinner. Medvedev è stanco, accorcia i colpi, è meno mobile, ma serve ancora molto bene. Ancora corpo a corpo. Fino al 3-2 Sinner, servizio Medvedev. Tre palle break per Jannik che odorano di match point. Al secondo tentativo, goal. 4-2 Sinner e servizio. Da lì, la partita è nelle sue mani. Deve solo non tremare (cioè la cosa più difficile). Ed è qui che dimostra quanto grande sia questo campione: concentrato, volitivo, presente. Nessuna indecisione. Tiene il servizio come un rullo compressore. Medvedev è alle corde. Manca l’ultimo metro. Il più complesso. Quello in cui ti passa una vita davanti, i pensieri si annodano, le gambe si intorpidiscono e fanno pesanti, la confusione può farti brutti scherzi. Non è il caso di Jannik. Che sul 5-3 serve per il match e la storia.

Subito una discesa a rete e volee appoggiata. L’Italia, tutta, comincia ad alzarsi sul divano. Prima vincente: 30-0. Stecca di rovescio: 30-15 e l’Italia che si risiede. Mancano due punti e sembra una vita. Dritto lungo: 30 pari. Eccolo, l’ennesimo atto di resistenza di Medvedev. Prima e dritto: match point Sinner. Scambio tirato e dritto superlativo lungolinea. Un trionfo. Carattere, classe, coraggio. Abbiamo una star. Consapevole. Che esulta ma non si sbraccia, mentre i miei vicini, a Roma, gridano di gioia davanti alla tv. Composto e felice, Sinner abbraccia il suo team, dopo un’autentica impresa. Lo aveva detto anni e anni fa, Roger Federer, il più grande di sempre, quando nel 2019 lo aveva scelto, Sinner che era quasi un bambino, per allenarsi a Roma: “Questo ragazzo farà strada”. Cosi è stato.

Sarà che oggi è San Tommaso, ma ora anche chi, scettico, non ci credeva può toccare con mano che abbiamo un campione che tricolore al collo potrà scrivere grandi pagine di cronaca prima, e speriamo anche storia poi.
Si apre una nuova era. Prima vittoria, grande baldoria.