I sismografi della politica tornano a segnare un movimento improvviso. Certamente movimenti di palazzo, in Parlamento, tra i gruppi. Con riverberi nella periferia. Ma non solo: all’ombra del Pd come di Forza Italia risuonano scricchiolii che possono essere, a seconda dei punti di vista, minacciosi o promettenti. I referendum che si avvicinano, in caso di flop, aumentano la tensione tra la segreteria Schlein e la minoranza riformista e accelerano la richiesta promossa da Luigi Zanda sul Riformista – istanza rimasta per ora inascoltata – di convocare il congresso dem a breve.

Venerdì a Roma è atteso un intervento di Paolo Gentiloni, ospite in un convegno internazionale in cui potrebbe entrare con i piedi nel piatto dei Volenterosi e dell’invio di truppe in Ucraina, a tregua raggiunta. Argomento tabù per il Nazareno. Anche nel M5S c’è un’aria di grande incertezza. Giuseppe Conte si è tuffato nella campagna referendaria senza avere convinto i suoi, e per la verità neanche sé stesso: mentre sale sul palco dei “5 Sì” di Landini – per dirne una – non fa mistero di non essere affatto orientato per il Sì al quesito sulla cittadinanza. Ma non ci sono solo i referendum o le nomine Rai, ad agitare i partiti. Di fatto, le regionali che si avvicinano in Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto scuotono i palazzi del potere a Roma. La Lega, che ha appena rinnovato la segreteria, accoglie Alessandra Mussolini che lascia Forza Italia.

Lo sciopero della fame di Bernardini

Matteo Salvini la accoglie tacitando i suoi («Benvenuta, non stiamo a fare questione di cognomi»). Emanuele Pozzolo, fuori da Fratelli d’Italia, rimane al Misto dove strizza l’occhio a Più Europa proponendosi come pungolo dell’ex amico, il sottosegretario Andrea Del Mastro: «Bello il gesto d’incontro del Presidente del Senato Ignazio La Russa verso Rita Bernardini, in sciopero della fame per richiamare l’attenzione della politica sulla terribile situazione delle carceri italiane. La politica, tutta, trovi il coraggio di agire», twitta. Ma la politica perde troppo spesso il coraggio. Non sa reagire neanche quando la portavoce del Ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, torna ad attaccare Pina Picierno. La vicepresidente del Parlamento europeo, espressione della minoranza riformista del Pd, si difende da sola e contrattacca: «Capovolgono la realtà, mi accusano di fare un “campo di concentramento dell’informazione digitale” a causa del mio lavoro e del lavoro del Parlamento europeo. La realtà è decisamente diversa: gli arresti, la censura di intere redazioni e la persecuzione sistematica di chiunque si discosti dalla narrazione ufficiale sono esattamente ciò che avviene in Russia, non nell’Unione europea».

Tiepida nota di solidarietà, ieri pomeriggio, siglata da Elly Schlein e Beppe Provenzano, dopo che Paolo Mieli a Radio24 si era chiesto come fosse possibile che il Pd non avesse preso le difese della sua esponente europea più importante. E ci si mette anche la rinnovata iniziativa del Vaticano per ricordare ai politologi come in Italia vi siano sei milioni di cattolici praticanti insoddisfatti dei partiti esistenti. Certamente i sondaggisti che fotografano una prateria crescente di indecisi tra il Pd e Forza Italia disegnano una domanda di politica che incontra, a oggi, un vuoto spinto. Servirebbe, quando non si verificassero le condizioni per un ritorno al proporzionale, almeno un ritorno al voto di preferenza, in ogni tipo di elezione, per riavvicinare i cittadini alla politica.

Il Centro che funziona in Europa

Pino Pisicchio, presentando alla Camera il suo libro “L’Ossessione del centro”, uscito con Rubettino editore, mette il dito nella piaga. «In Europa possiamo osservare esempi concreti di un centro politico che funziona. Pensiamo a Emmanuel Macron in Francia, a Friedrich Merz in Germania, fino ad arrivare a Keir Starmer nel Regno Unito, o alle ultime elezioni in Polonia e in Romania. In Europa vince quel centro che in Italia è scomparso. Se si continua a pensare alla vecchia Dc, un nuovo centro non emergerà mai. Ma il tema vero sta nel sistema misto con i collegi e le liste bloccate, senza riforma elettorale è difficile sbloccare consenso verso un terzo polo».

Il professor Ciro Sbailò, ordinario di Diritto pubblico comparato che ha presentato il libro insieme a Pisicchio, ha spiegato come «nel pensiero centrista trovano spazio l’economia sociale di mercato, un atlantismo consapevole e un deciso antitotalitarismo, inteso come rifiuto delle utopie ideologiche del Novecento». Ci sarebbe quasi una maggioranza, quindi. O almeno quanto basta per un partito del 12-15% come avevano dimostrato la Margherita di Francesco Rutelli e poi, con meno carisma, Mario Monti con Scelta Civica. Quel 7,5% che avrebbero preso, insieme, Carlo Calenda e Matteo Renzi alle europee di un anno fa non è un patrimonio elettorale del tutto disperso. Gli elettori ci sono, i contenuti anche. Bisogna sperare che si vengano a delineare i contenitori adeguati.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.