Abbiamo seguito come tutti la vicenda che ha coinvolto Aboubakar Soumahoro, e con grande dispiacere, innanzitutto per ciò che implica umanamente per un amico, una persona che abbiamo conosciuto in situazioni di lotta e che ci ha sempre sostenuto. Le implicazioni politiche, culturali e sociali di questa storia rischiano di ricadere, come sempre, sulla pelle di chi soffre ingiustizie, soprusi, nei ghetti come nei “centri di accoglienza” troppo spesso dimenticati, come se non ci dovessero essere lì dentro vite di persone in carne ed ossa, esseri umani e non numeri.
Perché in molti vogliono che niente cambi per le vere vittime. Primi tra essi i grandi giustizieri: sono pronti ora a chiudere i ghetti dei braccianti dando casa e contratti dignitosi a chi anche ora vive nel fango? I grandi moralizzatori sono pronti ora a fare ispezioni a tappeto in tutti i centri di detenzione o in quelli di accoglienza, per vedere dove è possibile vivere dignitosamente e dove no? Abou è stato travolto da una gogna mediatica, e abbiamo riconosciuto le fragilità di ogni persona normale che viene massacrata sotto i colpi della lapidazione e anche sotto il peso dei propri errori. Ma noi non ci stiamo ad abbandonare nessuno. Questa storia ci fa riflettere sulla necessità, culturale e politica, di emanciparci dai paradigmi del “superuomo” (e dello show che si nutre di lui) ma anche da quelli dei “tribunali del popolo”.
Crediamo nell’imparare insieme dai propri errori, perché qui siamo tutti coinvolti anche se ci crediamo assolti. Combatteremo sempre i processi sommari che costruiscono e sbattono i mostri in prima pagina. Combatteremo sempre chi pensa che una opinione diversa giustifichi la messa in moto di campagne denigratorie, diffamatorie, di umiliazione pubblica contro il “nemico” e le sue fragilità. Non vedere che alimentare o giustificare il massacro politico e umano di Abou, con silenzi o peggio con accuse infamanti che vanno ben oltre la realtà dei fatti, equivale a seppellire anni di lotte collettive, idee, sogni di costruire un mondo diverso, è pura follia. I processi li fanno i tribunali, i percorsi politici li decide la storia collettiva di una società.
Ora per noi è il tempo di combattere contro gli sciacalli e gli avvoltoi, di ogni risma, che non aspettavano altro che vedere un cadavere da poter sbranare. Abou continuerà il suo cammino, e sarà diverso da prima. Speriamo che, per primo lui, farà di tutto per far luce su ciò che per chi lotta per la dignità e la giustizia, non può rimanere in ombra. Basta con le pubbliche umiliazioni del capro espiatorio, le trame, i complotti e il giustizialismo. Con la logica della lotta politica come guerra per bande. Con la schadenfreude per la lapidazione.
Noi non lasciamo affogare nessuno di quelli sbalzati in acqua dalla furia delle onde o dalla propria imperizia nell’affrontare il mare.
La lotta continua, e se diventiamo più umani e consapevoli, sarà tutto di guadagnato non per noi, ma per quelli che stanno peggio. È a loro che dobbiamo rispondere di ciò che facciamo, e alla nostra coscienza. È per i diritti di tutt* che siamo in mare ed in navigazione e questa è la nostra unica bussola.
Il Consiglio Direttivo di MEDITERRANEA Saving Humans
