Il giorno del ricordo delle vittime di Covid
Bergamo un anno dopo l’inizio della pandemia ancora in trincea: “Cataclisma, arrivati a 4mila pazienti”
Il Covid-19 come “un vero tsunami”. Con effetti che, a distanza di un anno, si vedono ancora. Bergamo è stata la prima città italiana a soffrire davvero per la pandemia di coronavirus. Eppure, la trincea non è stata ancora smontata. Tutt’altro. “La prima ondata è paragonabile veramente a un cataclisma naturale che ha colpito in modo improvviso e inaspettato il nostro territorio”, confida la direttrice generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, Maria Beatrice Stasi, dopo l’accensione della fiaccola benedettina nella chiesa dell’ospedale.
“Nella prima ondata qui – fa i conti – abbiamo curato 2.500 pazienti gravi, ne sono arrivati oltre 3mila in pronto soccorso e oggi, che siamo di fatto nella terza ondata, siamo già a quota 4mila pazienti transitati dal Papa Giovanni”. Ma la situazione preoccupa ancora. “Abbiamo 42 pazienti di terapia intensiva, oltre il 50% dei posti disponibili, e 150 pazienti ricoverati nei reparti ordinari. Numeri di tutto rispetto – sottolinea Stasi – che dicono che bisogna tenere alta la guardia e che occorre affrettare la campagna vaccinale”.
Le immagini del 18 marzo di un anno fa, con i camion dell’esercito carichi di salme usciti dal cimitero monumentale di Bergamo e diretti in altre città del Nord per la cremazione, hanno fatto il giro del mondo e rappresentano “un ricordo drammatico”. “In quei giorni – racconta Stasi – ero anch’io malata di Covid. È stato scioccante, perché il timore di non farcela a curare tutti è stato un timore vero. Fortunatamente, adesso sappiamo com’è andata. Forse per questo siamo stati anche tanto amati, perché penso che qui ci si sia prodigati oltre l’inverosimile e l’umano, per certi versi”.
La caccia ai nuovi posti letto di terapia intensiva è stata febbrile. Alcuni pazienti sono stati trasferiti allora dal Papa Giovanni con aerei militari tedeschi in Germania. “Pazienti che erano qui e si sono svegliati dall’altra parte dell’Europa in gravi condizioni e che sono stati molto spesso salvati”, racconta con un filo di voce la dg, a pochi passi dalla chiesetta dell’ospedale, vicino alla Torre 4.
“Questo luogo – sottolinea – mi ricorda una messa in solitudine, il Venerdì Santo del 2020, celebrata dal vescovo Francesco Beschi. Dopo la celebrazione, ha detto: ‘Ho qualcosa da darvi a nome del Santo Padre’. E abbiamo scaricato delle scatole di mascherine che sono arrivate dal Vaticano. Un momento proprio di commozione. Lì abbiamo capito di essere davvero nel cuore di molti”.
Dal canto suo, Ave Vezzoli, coordinatrice infermieristica del reparto di pneumologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in occasione dell’inaugurazione del Bosco della memoria nella prima Giornata nazionale per le vittime dell’epidemia da coronavirus, racconta: “Alcuni ricordi rimarranno per sempre” e “ci siamo trovati a fare fronte a un elevato numero di perdite che non potremo mai dimenticare”. “Sono molto orgogliosa – conclude – di far parte di un sistema che non mi ha fatto mai sentire sola: si lavorava tutti, spesso senza una sosta ma con grande senso di unità”. (Fonte:LaPresse)
© Riproduzione riservata






