Cinque anni fa Donald Trump sbarcava a Helsinki per uno storico faccia a faccia con il presidente russo Vladimir Putin. Erano gli anni del Russiagate, del Cremlino accusato di aver favorito l’ascesa di The Donald alla Casa Bianca. Ma era soprattutto il periodo in cui Trump aveva come obiettivo l’Europa e la sua politica commerciale, mentre la Russia – con cui certo non mancavano questioni da risolvere – era ritenuta un problema secondario nell’agenda dell’ex tycoon. Putin, dal canto suo, era considerato ancora un interlocutore credibile e utile, con molti alleati e partner in seno all’Unione europea e con una strategia che sembrava essere efficace per i piani del Cremlino, dal Medio Oriente fino al gas e alle materie prima.

Cinque anni dopo il mondo è completamente cambiato. E uno dei simboli di questa rivoluzione è proprio Helsinki, capitale di una Finlandia che da Paese neutrale tra blocco occidentale e Mosca, ora è parte dell’Alleanza atlantica, al punto da meritare la visita dell’attuale presidente Usa, Joe Biden, che ha incontrato le autorità locali e quelle dei Paesi riuniti nel summit tra Stati Uniti e Nord Europa. Un incontro cui hanno preso parte non solo il capo della Casa Bianca e il presidente finlandese Sauli Niinisto, ma anche il primo ministro svedese Ulf Kristersson, il norvegese Jonas Gahr Store, la danese Mette Frederiksen e la premier dell’Islanda Katrin Jakobsdottir. Si è trattato del terzo vertice di questa piattaforma.

Ma in un anno segnato dall’ingresso della Finlandia nella Nato, dalla possibile (futura) adesione della Svezia e con 500 giorni di guerra in Ucraina, il summit ha inevitabilmente assunto un significato diverso rispetto ai precedenti. Washington ha da tempo aumentato la propria attenzione verso l’Europa settentrionale, riconoscendo ai Paesi dell’area scandinava – ma non solo, se si considerano i baltici – un ruolo sempre più importante nella visione strategica del continente. Per gli Stati Uniti i governi della regione garantiscono affidabilità tanto sotto il profilo politico ed economico quanto dal punto di vista militare, come dimostrato dal loro contributo alla Nato o ad altri formati. E dal momento che condividono confini terrestri e marittimi con la Russia, la loro saldatura con l’Occidente è ritenuta fondamentale per assicurare il controllo delle mosse russe.

Discorso che può essere declinato anche per quanto riguarda l’Artico, e le potenziali mire tanto russe quanto cinesi. La piena sintonia tra Washington e capitali nordiche è stata sancita anche da un siparietto che ha avuto come protagonisti Biden e Niinisto, padrone di casa del summit. Il presidente finlandese, rivolgendosi all’omologo Usa, gli ha ricordato di avere sentito tanto da lui quanto da Barack Obama che «se il mondo intero fosse come i nordici non avremmo alcun problema». Biden ha confermato di pensarlo ancora oggi, aggiungendo che «se lasciassimo le decisioni importanti ai Paesi nordici, saremmo tutti in buona forma».

Per i leader riuniti a Helsinki, un’iniezione di fiducia estremamente rilevante che deve però essere letta anche in chiave europea. Non è un mistero che in questi ultimi anni, specialmente dopo la frattura tra Europa e Russia, i Paesi del Nord Europa hanno assunto un peso sempre più rilevante nel sistema continentale. La Norvegia – pur come Stato terzo – è diventata il maggiore fornitore di gas per l’Ue, tanto più dopo la fine del Nord Stream. La Svezia, che ha avuto l’ultima presidenza di turno, ha certificato un rinnovato interesse per Bruxelles e ora promuoverà anche il partenariato con la Turchia. La nuova Finlandia di Petteri Orpo appare orientata a ripristinare la sua essenza di «falco». Mentre la Danimarca, che con l’ingresso nella Difesa comune europea ha rafforzato i suoi legami strategici in Ue, ha una premier che per alcuni mesi è apparsa come possibile nuova guida della Nato. Il Nord richiama e riceve maggiore attenzione. Un cambiamento gerarchico che vale nel presente ma anche in chiave futura.

Lorenzo Vita

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