Avanti con giudizio, Giorgia. Viene in mente il cancelliere spagnolo di Milano Antonio Ferrer che nei Promessi sposi suggerisce al cocchiere di muoversi con cautela nella folla in tumulto per la carestia dopo aver sentito tre quarti d’ora di conferenza stampa della premier Giorgia Meloni a conclusione del vertice Nato a Vilnius. In cui fa un paio di giravolte che rischiano il testa coda: il governo non ha dichiarato alcuna guerra alla magistratura; farà la separazione delle carriere come da programma ma non è possibile dire quando; rivendica il comunicato «fonti Chigi» che la guerra alla magistratura aveva ufficialmente dichiarato la sera del 6 luglio, ormai una settimana fa; prende le distanza dal fondatore di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa («Capisco il dramma familiare ma non sarei intervenuta per rispetto della funzione») e solidarizza con la ragazza che ha denunciato il terzogenito Leonardo per violenza sessuale. Un passaggio questo molto atteso. Necessario, quasi obbligatorio, anche se quasi fuori tempo massimo. Insomma, una premier costretta a frenare e a fare qualche marcia indietro. Segno, tutto questo, che a palazzo Chigi ultimamente la tensione è alta ed è facile perdere il senno.

Le parole di Meloni erano molto attese. Non tanto per le note e certamente nobili questioni di politica estera decise al vertice Nato (documento finale di 90 punti) visto che su quello avevano ieri appena parlato il segretario generale Jens Stoltenberg, il presidente Usa Joe Biden e Volodomyr Zelensky. Bensì perché a parte un fugace punto stampa nei vertici internazionali, la premier non si è più resa disponibile ad una vera conferenza stampa dai tempi di Cutro (febbraio). Questa volta non ha potuto evitare. E tutto sommato il vertice Nato era anche il luogo più neutrale per affrontare il conflitto istituzionale aperto giovedì scorso con quella nota stampa attribuita a «fonti Chigi» in cui si accusava la magistratura di «fare politica e di aver iniziato la campagna elettorale per le Europee». Due i fatti che avevano spinto ad ipotizzare il complotto giudiziario. Il primo: la ministra Santanchè aveva saputo la sera stessa della sua informativa al Senato e dopo aver giurato di non essere indagata, di essere invece iscritta sul registro degli indagati per falso in bilancio e bancarotta per la gestione della holding Visibilia e della Ki Group. Il secondo: il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove ha avuto l’imputazione coatta, da parte del gip, per i fatti relativi al caso Cospito. Il pm voleva archiviare, il gip ha chiesto il processo. Due fatti diversi e non collegati. A cui poi se n’era aggiunto un terzo: Ignazio La Russa, presidente del Senato, in quanto avvocato ha assolto il figlio Leonardo dall’accusa di violenza sessuale perché «la ragazza che ha denunciato era drogata e ha denunciato dopo 40 giorni». Tutto in 48 ore, tra il 5 e il 6 luglio. La sera esce la nota attribuita a «fonti di palazzo Chigi».

Meloni doveva assolutamente chiarire. Lo ha fatto cadendo in contraddizione. «Da parte mia – ha detto – non c’è alcun conflitto con la magistratura. Chi spera in conflitti tra poteri che hanno caratterizzato altre epoche resterà deluso. Questo governo realizzerà il programma per cui è stato votato che prevede la separazione delle carriere tra giudici e pm. Il tutto proprio per rendere la giustizia in Italia più veloce, efficiente ed imparziale. Sono rimasta sorpresa che l’Anm abbia collegato il nostro programma ad uno scontro tra politica e magistratura».

La premier cerca di anticipare le domande dei giornalisti e di cavarsela così con le sue dichiarazioni. «Non sfuggo alla questioni», tranquillizza. Ma la versione di Giorgia non fa i conti con la realtà dei fatti e sui cui viene incalzata con le domande. È stato infatti il comunicato di palazzo Chigi a scatenare la guerra tra poteri. E non il contrario. L’Anm ha risposto a Chigi. Dunque – chiedono in due diverse domande due colleghi – lei smentisce, non si riconosce in quella nota? E qui arriva la piroetta. «Certo che mi riconosco in quel comunicato (lo aveva licenziato lei, ndr) che nasceva però da due fatti distinti: la pubblicazione su un giornale della notizia dell’avviso di garanzia alla ministra Santanchè e l’imputazione coatta per Delmastro che è stato certamente un fatto politico. Ho chiesto agli uffici quante volte succede. Così raro da non fare statistica. Su Santanchè ho posto invece una questione di metodo». Testacoda. Delle due l’una: se Meloni «s’identifica nel comunicato di Chigi» è stata lei a dichiarare guerra alla magistratura. Se dice che «nessuno ha dichiarato quella guerra» deve rimangiarsi il comunicato. Terzium non datur.

Le contraddizioni non finiscono qua. Il presunto «affronto» a Santanchè che apprende dai media di essere indagata, era facilmente evitabile se i suoi avvocati si fossero informati in procura visto che l’atto risale a novembre scorso. Ciò detto, non spiega l’opportunità politica di un ministro imprenditore che ha due milioni di debiti con fisco, fisco che ora deve valutare se accettare o meno il piano di rientro del debito. Circa Delmastro, dire che il gip ha fatto una scelta politica è un’invasione di campo visto che l’imputazione coatta è prevista dalla procedura penale.

Sul caso la Russa jr, invece, nessuna contraddizione. Solo un clamoroso ritardo. «Comprendo la sofferenza del padre anche se, al suo posto, non sarei mai intervenuta – ha sottolineato la premier seppure parlando con molta fretta e un filo di voce – in generale poi solidarizzo sempre con chi la ragazze che hanno il coraggio di denunciare». La Russa non sarà contento. Più in generale, poi, trionfa il garantismo: nessuna ipotesi di dimissioni «soprattutto per un avviso di garanzia e una imputazione coatta arrivate con queste modalità». Modalità, ripetiamo, assolutamente regolari. La premier ha un viso espressivo, gli occhi spesso parlano più delle parole. Più volte durante la conferenza stampa ha accompagnato le domande con significative smorfie. Tranquilli però. «Sono le scarpe, non sono le domande», ha precisato.

Claudia Fusani

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