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Angeli del bosco e poi?

Giornalista e Docente
Angeli del bosco e poi?

Potevamo farci mancare, dopo quelli del fango, col camice etc., anche gli angeli del bosco ovvero i vigili del fuoco?

Che intendiamoci da subito: angeli lo sono per davvero i nostri vigili del fuoco, un corpo a cui dobbiamo un grazie non misurabile per tutto il lavoro di difesa e salvataggio dei cittadini e del territorio (solo l’anno scorso sono stati complessivamente 791.505 gli interventi effettuati con  una media di 2.200 al giorno per incendi, alluvioni, dissesti da nord a sud). In prima fila nel soccorso, nella protezione e nella difesa anche all’estero e in sinergia con la protezione civile, i vigili sono una fucina di competenza e professionalità da esportazione persino fuori dai confini nazionali e ispiratori – a livello tecnico  – per i medesimi comparti all’estero. 

La provocazione di prima – mi permetto di precisare – sta invece nella retorica della contingenza, quella che provoca  l’emozione nell’opinione pubblica ma fine a se stessa, stimola il sussulto dell’oggi che però non permea il domani.  E che consente al governo l’impudicizia di annunciare “nuove missioni operative” quando di queste stesse missioni ne abbiamo da anni ma furono cassate per perversione politica  quando invece andavano (senza steccati ideologici) supportate e portate ad implementazione.

Che ci siano – lo scrivo da anni – agende di governo senza colori e bandiere ma globali ed ecumeniche è un fatto granitico ed empiricamente verificabile specialmente quando il tema cade sulla transizione climatica e sulla sostenibilità economica e sociale diventata – recentemente – dettato costituzionale con la riforma dell’articolo 9 che introduce la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi come principio repubblicano ovvero significante della nostra democrazia. Non una robetta, insomma, ma un salto di qualità sul rapporto tra libertà del singolo e armonia con l’ambiente di riferimento come giustamente sottolineato da Andrea Morrone, costituzionalista e docente all’Università di Bologna, secondo cui si sono gettate le fondamenta per realizzare un nuovo «contratto politico» per garantire il valore dell’essere in tutte le sue dimensioni e in una cornice di coesistenza integrata di tutte le forme di vita.  

Detto ciò, dalla teoresi alla prassi – però – si continua a scavare un solco profondo a favore di un vuoto cosmico accecato dalla logica delle tifoserie. E su questo vuoto sguazzano, spiace, certi fenomeni mediatici legittimamente foraggiati dal relativismo della politica e paralizzati da fatalismo e rimozione, per citare Beppe Severgnini in un suo recente corsivo.  Se pensassimo, per l’appunto, ad un green deal come interesse di tutti e a beneficio nostro e del futuro, potremmo partire dalla moratoria sulle imbecillità sentite in questi giorni del tipo “la scienza non è chiara” (è chiarissima da decenni sul tema) o “chiediamo prima alla Cina di iniziare” in quanto non distinguere la Cina dall’Europa è un filino demenziale sul piano storico, geopolitico ed economico. Si dirà, sono le basi; ma dobbiamo pur richiamarle se vogliamo fare informazione non veicolando sciocchezze tanto per coprire il palinsesto televisivo e le pagine dei quotidiani. 

L’adattamento ai danni già visibili il contenimento degli effetti causati dal climate change è oramai centrale per l’economia e il tessuto sociale dei prossimi anni e dovrebbe declinare tutta una serie di operazioni non più rinviabili. E’ quindi una questione non sottoponibile al dibattito che procede, oggi, per estremi talebani tra la decrescita vivendo d’aria da un lato oppure la cementificazione ovunque nel disprezzo di fiumi fino alla deforestazione magari per dare l’ennesimo centro commerciale.

Una via di mezzo, se si è ragionevoli, la si trova sempre magari cominciando dal non smantellare le buone cose dei governi precedenti (in primis) e mettendo mano – per tornare agli angeli del bosco – agli stipendi e alla valorizzazione dei vigili del fuoco, i quali  con gli slogan per 48 ore, purtroppo non mangiano.