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Caro Saudino, la povertà e la ricchezza degli studenti non sono mai una colpa

Insegnante, giornalista e scrittore
Caro Saudino, la povertà e la ricchezza degli studenti non sono mai una colpa

L’insegnante di Storia e Filosofia, e mio collega per altro coetaneo, Matteo Saudino – autore di un bellissimo profilo YouTube in cui riprende le sue lezioni di Filosofia in aula per consentire a tutti gli studenti sufficientemente benestanti da possedere computer e connessione internet di ripassare a casa – ha scritto un articolo per Tecnica della Scuola dove ha spiegato che è molto contrario al premio in denaro assegnato da due scuole italiane agli studenti che raggiungono la media del 9.

Nel mio articolo apparso un paio di giorni fa su Il Riformista ho appunto detto che il concetto del premio in denaro a dei minorenni è l’unica cosa a mio avviso discutibile di quel provvedimento meritocratico che invece approvo.

Qui amplio il concetto: mi pongo un dubbio sul premio in denaro a minorenni perché mi pare che vada a far assurgere il denaro come traguardo in sé, gli si dà uno spessore, una credibilità direi filosofica che, a mio avviso, proprio non ha. Ne capisco il fine del premio in denaro, ma non lo condivido per i minorenni: gli adolescenti, in genere, se sanno di poter vincere anche solo 100€ come premio sportivo o scolastico, spesso sono stimolati a impegnarsi di più. Ma questo vale soprattutto per chi non è benestante.

Uno studente figlio di genitori benestanti non è impressionato dal vincere 100€ ma nemmeno 1000€ e a volte nemmeno 10.000€, dipende da quanto ricca in denaro è la sua famiglia. Quindi la trovo una scelta diseducativa (ho sempre detto ai miei studenti: “colui che muore col maggior numero di giocattoli – seconde e terze case, suv, moto, yacht, castelli, vacanze fighe – comunque muore”).

Di contro, è anche vero che le borse di studio in denaro per merito o per aiutare i più poveri a frequentare scuole e università hanno una tradizione antichissima, addirittura l’antica Roma imperiale e poi il medioevo. La solida tradizione anglosassone di fine Ottocento e del positivismo fa poi rinascere la filosofia della borsa di studio in denaro su una base di sinistra: l’ampliamento del Welfare State inglese che si prende cura anche di fornire ai suoi migliori studenti le somme di denaro per sostenere le rette scolastiche o universitarie. E badate: sono proprio soldini che arrivano nel conto corrente dello studente, più che la cancellazione della retta o del debito.

Ecco allora che questa idea saudiniana (e di moltissimi altri docenti, eh, intendiamoci) che il denaro sia lo sterco del demonio e che quindi non debba mai essere associato a degli studenti a me pare un rigurgito (ipocrita: vedi alle voci “vendita delle indulgenze”, Patti Lateranensi e ottox1000) cattolico che piace molto anche a diversi marxisti ben poco marxiani.

Infatti, l’odio per il denaro materiale non sarebbe piaciuto per niente a Karl Marx, il quale visse tutta la vita sui prestiti a fondo perduto (per non dire le donazioni, i regali in denaro) del sodale Engels. Senza i soldi del figlio di imprenditori tessili Engels, Marx non sarebbe potuto diventare Marx: non aveva nemmeno i soldi per le candele da accendere per leggere i libri presi in prestito dalla British library!

Più in generale, qui il problema è che lo Stile Saudino è quello di credere che gli studenti (e i proff, “but this is another can of worms” e lo scrivo così almeno finché il DDL Rampelli non passa a legge) siano tutti uguali e non possano mai e in nessun caso essere differenziati, nemmeno guardando alla qualità del loro impegno, del loro lavoro, del loro studio.

Quindi ecco che se uno prende 10 e uno prende 4, secondo Saudino non si può dire quale dei due sia lo studente “migliore” perché magari quello che prende 10 ha il peccato originale di venire da una famiglia ricca di libri e biblioteche (nota colpa atavica) e ha sempre avuto 10 o 9, mentre quello che prende 4 prima prendeva 1 e in più viene da una famiglia povera in canna dove l’unico libro presente in casa è il vecchio elenco telefonico del nonno (anzi solo il volume M-Z e non l’A-L). In più quello che prende 4 viene a scuola in piedi da La Sgurgola Marsicana, mentre quello che prende 10 è portato a scuola dall’autobus o, dio non voglia, dai genitori, o da Uber o – lo scrivo proprio solo per causare itterizia al caro Matteo Saudino – dalla macchina con lo chaffeur (Rampelli, sopportami) di mamma e papà.

Te lo dico chiaro, caro Matteo: io penso che la povertà (e la ricchezza) materiale dei miei studenti non siano MAI una colpa. Tu mi sa che la vedi per metà così: la povertà non è certo una colpa, mentre sulla ricchezza… eh beh, qui c’è da eccepire e alzare di molto il sopracciglio. A me questo sembra classismo pauperista. Da combattere, a scuola come nella politica.

Quindi per Saudino, in realtà, lo studente migliore è quello che prende 4 (o 7: io parafraso ma lui nel suo pezzo parlava di uno studente che arriva al 7 partendo da un 4) e non quello che prende 10, almeno considerando determinati contesti. Chi la pensa così come Saudino deve anche, per coerenza personale, dire che quando un cardio-chirurgo uccide per sua negligenza un paziente, perché – chessò – non ha fatto in tempo a leggere il capitolo del costoso manuale di chirurgia su quella parte del ventricolo destro che doveva operare, e così il suo paziente è morto, è in realtà migliore del cardio-chirurgo a cui l’operazione riesce perfettamente, perché si deve tenere in conto che il chirurgo assassino partiva da non sapere proprio nulla di medicina in senso lato, essendo venuto da una famiglia non di medici e alquanto povera, e per altro l’anno passato aveva ucciso tutti i suoi pazienti, mentre quest’anno ha ucciso solo l’80% di chi si è sdraiato in sala operatoria sotto i suoi ferri. Un bel miglioramento, oggettivo.

Volete mettere quanto migliore è rispetto al noiosissimo chirurgo che non uccide mai nessun paziente, e mai ne ha uccisi, per di più colpevole di venire da famiglia di medici e coi soldi?