Quello che Mario Draghi è chiamato a compiere è un atto di generosità nei confronti dei giovani italiani e degli europei imboccando il percorso che lo porti a diventare Presidente della Repubblica italiana e l’arbitro decisivo delle partite che contano. Per i giovani italiani la sua figura rappresenterebbe una garanzia di continuità nella prosecuzione di quell’agenda di Governo, sempre nel perimetro del suo profilo, ormai nota e consolidata in questi mesi. E grazie a lui i giovani europei avranno finalmente un grande tessitore in azione, impegnato in un concreto ed energico rinnovamento delle istituzioni europee e con esse del concetto stesso di Europa e del suo modo di porsi nel mondo.
Il percorso verso il Colle è ricco di insidie, di buche e di trabocchetti disseminati dai nemici, invidiosi, ma soprattutto da quell’esercito di garantiti che vive grazie a rendite di posizione ormai folli da sostenere: sia alla luce di un post pandemia drammatico come quello che stiamo vivendo, sia nei confronti di un mondo che cambia naturalmente. La strada che deve imboccare Draghi c’è, ma occorre percorrerla con decisione. Innanzitutto è necessario (e in parte ciò è già stato fatto durante la conferenza stampa di fine anno) che Draghi annunci (almeno ai grandi elettori) la chiara volontà di salire al Colle. In secondo luogo, occorre persuadere i partiti a una scelta matura: Draghi al Colle e accordo su proseguo della legislatura.
Ma ci si può fidare degli attuali partiti politici? La risposta è no. Per questo è opportuno un colpo di reni dello stesso Draghi e di chi ha a cuore il futuro di questo Paese, che metta in sicurezza il percorso verso il Colle. Per evitare di farsi impallinare l’Ex BCE potrebbe annunciare già adesso le sue future dimissioni (o perlomeno l’indisponibilità a continuare nel suo attuale ruolo) ma non per mollare il paese allo sbando, anzi, il contrario. I partiti sarebbero così costretti a richiamarlo nella casella del Colle. Successivamente si aprirebbe lo spazio per un Governo del Presidente, composto da una squadra di fuoriclasse, sulle orme dell’attuale governo, che si dedichi a disegnare in maniera seria il futuro dei prossimi anni, continuando a fare quello che serve, senza curarsi troppo del consenso immediato.
In Italia, infatti, su troppi temi c’è bisogno di un atteggiamento che miri all’obiettivo, al pragmatismo, invece di continuare a fare un passo in avanti e due indietro per timore dei sondaggi. Se Draghi andasse al Colle inoltre, i partiti sarebbero più liberi di farsi un anno di campagna elettorale senza di fatto occupare il Governo rendendolo protagonista di provvedimenti populisti e clientelari, come invece hanno praticamente fatto negli ultimi 50 anni (salvo rare eccezioni). E chissà, potrebbero perfino cogliere questa “pausa di riflessione” per dedicarsi ad un loro profondo rinnovamento, che coinvolga le loro strutture, il loro modo di porsi nei confronti della società e il rapporto verso le istituzioni.
Qualcuno si ostina nel proporre la tesi per cui Draghi debba essere lasciato nel ruolo di PdC, che però così si ritroverebbe sempre di più in balia dei partiti, i quali, avvicinandosi alle elezioni, e per questo legittimamente, entrerebbero sempre di più nel gioco della campagna elettorale senza limiti, coinvolgendo (e compromettendo) di rimando l’attività dell’esecutivo e la figura stessa di Super Mario. Logorandolo, strattonandolo per la giacchetta e dissipando il suo consenso nel paese, il quale verrebbe piano piano sempre meno; come tra l’altro ha dimostrato il caso di Monti, che ci salvò dallo spread, ma che poi è stato odiato e rinnegato dai più.
Ma c’è un altro aspetto importante. Qualcuno obietta che Draghi dal Colle sarebbe sminuito, poco valorizzato e svolgerebbe tutt’al più il ruolo di “arbitro”. Ma chi ha vissuto con un minimo di attenzione le vicende degli ultimi 30 anni e ha giocato a calcio sa che non è così. Quante partite, quante finali, quante coppe sono state decise da una scelta dell’arbitro, da una sua interpretazione del regolamento? L’arbitro, infatti, è quel soggetto del campo pronto a valutare con attenzione le mosse dei giocatori (e dei partiti), capirne l’inclinazione e correggerne l’azione, senza far mai trapelare le sue preferenze, affinché siano gli interessi dell’Italia a prevalere sul resto. Ed in questo ruolo Super Mario sarebbe anche qualcosa di più, perché non solo terrebbe a bada i giocatori più agitati (sovranisti in primis), ma col suo modo di arbitrare potrebbe anche cambiare “lo spettacolo”, aiutando la politica a raggiungere obiettivi dai quali essa fugge in cerca del solo consenso. Draghi poi, sarebbe in grado di fischiare maggiormente i falli di un certo tipo rispetto ad altri, e farebbe così risaltare solo il bel gioco, quella Politica che oggi sembra solo un nostalgico ricordo. Sarebbe inoltre sicuramente incisivo come presidente del CSM e anche i magistrati si ritroverebbero un arbitro inattaccabile e capace di riformare la magistratura.
Senza considerare poi il fatto che l’inquilino del Quirinale è già in assoluto la figura più preminente della nostra democrazia parlamentare, come ha ampiamente dimostrato sia Napolitano, sia Mattarella. Senza quest’ultimo oggi Mario Draghi non sarebbe neppure lì dov’è, tanto per rimarcare il peso della figura dell’arbitro per la nostra democrazia. Per questo occorre fare in modo che nella casella più importante per l’equilibrio del nostro paese ci vada il numero uno in tutto: per competenza, per credibilità internazionale, serietà e capacità dimostrata sul campo più e più volte.
Dal punto di vista della credibilità internazionale, Draghi sarebbe poi in grado di fare di più e meglio quello che Merkel ha fatto (o avrebbe dovuto fare) per l’Europa intera. Riposizionando lo sguardo di Bruxelles dal nord al sud Europa e traghettando le grandi democrazie occidentali verso una comunità socialista più attenta al benessere degli europei e meno ai vincoli di bilancio, che tanto piacciono ai paesi frugali. Chi mai potrebbe imporre un simile ribaltamento degli atteggiamenti delle cancellerie europee se non Super Mario? Il suo credito internazionale parla da solo e il suo whatever it takes ha già salvato una volta l’Europa intera e il capitalismo occidentale.
Oggi, grazie al Next Generation Eu, il debito comune e le attuali condizioni globali ci sono le condizioni affinché finalmente cambino le regole e le istituzioni europee e per farlo serve la figura più adatta al ruolo. Chi meglio di Draghi? Dal punto di vista geopolitico, mai come oggi, occorre un’Europa unita che sappia intavolare strategie di contenimento nei confronti della Turchia e della Russia, che rinnovi l’idea di un esercito europeo e una strategia di approvvigionamento delle materie prime (gas in testa). Uscita di scena la Merkel, con Macron prossimo alle elezioni, l’unico a poter prendere la guida con competenza e visione e tenerla per sette lunghi anni è Draghi.
Draghi è stato un toccasana per l’economia europea negli anni più delicati dell’esistenza dell’euro, ha salvato la situazione post pandemica italiana, ha ridato prestigio e credibilità al Paese. Il lavoro da fare è ancora tanto, la competizione globale sempre più feroce. I grandi elettori, che sono chiamati tra alcuni giorni ad eleggere il prossimo Presidente della Repubblica, hanno l’opportunità di cambiare la storia mettendo nelle mani giuste il destino del Paese e dell’Europa. Mario Draghi Presidente della Repubblica, arbitro decisivo per le partite nazionali ed europee. Aspettiamo con speranza il suo fischio d’inizio. Spegnete il Var.
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