BLOG

Emozioni, sensazioni, sentimenti. A un passo dalla Storia

Giornalista, comunicatore, fondatore di Velocitamedia.it
Emozioni, sensazioni, sentimenti. A un passo dalla Storia

Non è detto che vinciamo domani. Non è detto ma potremmo.

Allora è più che normale che emozioni, sensazioni, sentimenti, vadano a briglia sciolta. Incontrollabili come cavalli che non sai più domare. Ci ho provato per mesi, e ci sono riuscito. “Non seguo il calcio”, “non so di cosa parli”. Ho scelto di dare sempre, a ripetizione, queste due risposte a chi sempre, a ripetizione, mi ripeteva le stesse cose da novembre. “Avete vinto”, “potete solo perderlo”, “quanto manca alla vittoria matematica?”. Tiè.

Non mi produrrò nella sequela interminabile – perché di sequela interminabile trattasi – di delusioni, pianti, arrabbiature patiti nel tempo. Di giocatori e allenatori andati e venuti. Di acquisti imbarazzanti spacciati per campioni.

Io lo capisco che chi non capisce non può capire. Per chi lo tifa, il Napoli non è una squadra e stop. È una fede incrollabile, un riferimento identitario, erede direttissima dei valori e delle peculiarità di una città che se ti ci lasci prendere ti inghiotte, ti salta addosso, ti fa vivere esperienze uniche. Lo è anche per chi, come me, partenopeo purtroppo non è ma ci si sente. Anche per chi, come me, quando vede azzurro gli si fa la pelle d’oca.

Bene, non dirò che in tutta la mia vita di tifoso ho dovuto accontentarmi di poca roba: qualche Coppa Italia, una Supercoppa di Lega e poche altre briciole. Dirò solo, perché è la verità, che la mia memoria calcistica – beffa suprema e quasi paradossale – comincia con i Mondiali d’Italia del 1990. Cioè un mese e mezzo dopo il secondo Scudetto. I primi due, dunque, per me sono solo in bacheca. Diego per me è Storia, è Orgoglio, è amore in gocce distillate di Identità e di Sfida a tutto il resto. Ma, prendendo in prestito un nostro coro, io non “ho visto Maradona”. Se non in videocassetta e in digitale. Uno dei rimpianti più grandi della mia vita. Ma è così.

Alle primissime ore di domani mi metto in macchina e da Roma parto verso Sud. Per assaggiare, gustare e godermi tutto di quello che, insomma, è il mio primo, vero, storico Scudetto personale. La mia generazione, e naturalmente quelle successive, ha subito tante umiliazioni, troppe. A partire da mio fratello, ne conosco tantissimi di ragazzi che, nonostante tutto questo, senza che neanche lo decidessero si sono visti la propria vita legata a filo doppio all’azzurro. Ragazzi come me, che hanno organizzato le proprie giornate in base agli impegni del Napoli, che hanno seguito la propria squadra ovunque e in ogni categoria, per tifarla più forte che potevano e sempre in maniera sana. Io non posso non pensare a tutti loro, in un giorno come questo.

Non posso non pensare che il destino mi porta a scrivere queste righe 33 anni esatti dopo l’inzuccata di Marco Baroni contro la Lazio, in un San Paolo che ribolliva di passione e urlava a squarciagola centomila “grazie” al suo dio pagano. “Di tempo n’è passato”, e non posso non pensare, non dire, che questa gioia incommensurabile ce la meritiamo tutta. Perché abbiamo sempre visto gli altri gioire anche quando ci siamo andati a un’incollatura e in realtà sapevamo, eravamo certi che quella gioia era giusto che fosse nostra.

Oggi posso mettere da parte silenzi mirati e scaramanzia. Abbiamo vinto noi. Vi abbiamo asfaltati tutti, uno dopo l’altro. Vi abbiamo messi a posto tutti, silenziati tutti. Siamo stati più forti di tutto. D’altronde, tempi recenti hanno dimostrato che un Campionato possiamo vincerlo solo così. Perché quando siamo in un testa a testa, in qualche modo probabilmente ci fottono. Noi dobbiamo stravincere. Siamo condannati a stravincere.

Ecco, forse aspettavamo di farlo, “un giorno all’improvviso”, in uno stadio che portasse il Suo nome.

Io lo so. Sarà indimenticabile.