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God save the Queen

Avvocato e scrittore
FILE – Britain’s Queen Elizabeth II reads the Queen’s Speech from the throne during the State Opening of Parliament in the House of Lords in London, Wednesday, May, 18, 2016. Queen Elizabeth II is marking her 96th birthday privately on Thursday, April 21, 2022 retreating to the Sandringham estate in eastern England that has offered the monarch and her late husband, Prince Philip, a refuge from the affairs of state. (AP Photo/Alastair Grant, File)
FILE – Britain’s Queen Elizabeth II reads the Queen’s Speech from the throne during the State Opening of Parliament in the House of Lords in London, Wednesday, May, 18, 2016. Queen Elizabeth II is marking her 96th birthday privately on Thursday, April 21, 2022 retreating to the Sandringham estate in eastern England that has offered the monarch and her late husband, Prince Philip, a refuge from the affairs of state. (AP Photo/Alastair Grant, File)

Era il 6 febbraio 1952 quando salì al trono, alla morte del padre, anche se fu incoronata il 2 giugno del 1953. Fu un gioco del destino che si manifestò nelle vesti di una sottana made in Usa e borghese quanto basta per allontanare suo zio Edoardo VIII dalla corona inglese.

E fu così che giovanissima, quasi una ragazzina, sedette sul trono dello stato, tra quelli contemporanei, più antico e prestigioso del mondo. Sulle bianche scogliere di Dover iniziarono a masticare la parola democrazia nel 1215, con l’adozione della Magna Charta, e più tardi, quando in tutta Europa andavano di moda le monarchie assolute e ovunque si imitava Louis Quatorze, le Roi Soleil, quello della famosa frase “l’état c’est moi”, dalle parti di Albione scoprivano l’importanza del parlamento e nel 1689 adottavano il “Bill of rights” che trasformava la corona inglese in una monarchia parlamentare riconoscendo una centralità delle assemblee nella guida politica e costituzionale dello stato.

La allora giovane regina, che nei suoi 70 anni di regno ne ha viste di cotte e di crude e di tutti i colori, proseguì, sino a questi suoi ultimi giorni, il suo ruolo di custode delle trazioni istituzionali e di garante degli equilibri costituzionali e della unità della nazione, non dissimile dalla stessa sacralità con la quale regnò Elisabetta I, rivalità e guerra a Maria Stuart a parte.

A qualcuno potrebbe far ridere la adozione, ancora oggi, di quegli orpelli che a volte sembrano stucchevoli mascherate o barocchi rituali. Ma quei riti, che si sono perpetuati nei secoli, sono serviti a mantenere intatta la forma costituzionale e l’assetto democratico di cui quel paese ha vissuto.

Quelle liturgie sono servite a dare alle istituzioni britanniche una autorevolezza tanto grande da entrare nelle coscienze delle popolazioni e rimanere intatta alle intemperie della storia che hanno devastato lo scorrere dei secoli. La sacralità della corona si è estesa alla sacralità dello stato e nulla avrebbe mai permesso e mai permetterà di rovesciarla.

Dittature feroci o dittaturelle, avventurose o meno che fossero, quali quelle che hanno devastato i primi anni del Novecento, non avrebbero mai potuto, da quelle parti, non solo affermarsi ma addirittura trovare un minimo spazio tra l’attenzione dei britannici proprio per la concezione di sacralità della guida costituzionale del paese.

Una conservazione delle ritualità istituzionali che sarebbe logico pensare fondersi con una concezione conservatrice della politica del paese.  E invece al contrario, e a ben rifletterci, non sarà certo un caso se, dal dopoguerra ad oggi, proprio la socialdemocrazia europea ha avuto modo di affermarsi con stabilità e di incidere con maggiore profondità nella sua stagione di riforme per creare una società evoluta, moderna e progredita, da GonzalezZapatero e Sanchez in Spagna, Di Rupo in Belgio, e ancora in Olanda, Danimarca, nei paesi Scandinavi di Olof Palme e infine proprio in Inghilterra con Tony Blair,  più in paesi a guida monarchica che in quelli repubblicani.

Quel senso delle istituzioni ha anche sviluppato una fortissima identità nazionale mescolata in una osmosi inscindibile con il rispetto dei suoi simboli in quanto identificativi della sacralità dello stato. Non è un caso se da quelle parti ogni evento, formale o informale, istituzionale o ludico che sia, è concluso dall’inno nazionale e non è un caso che, ovunque ci si trovi, qualunque sia l’occasione o lo scenario, tutti, ma proprio tutti, dagli anziani ai maturi, dai giovani ai ragazzini, si mettono in piedi e cantano con compostezza e raccoglimento.

Si chiama solennità. Necessaria per mantenere alto il senso delle istituzioni e trasmetterne il rispetto tra le persone. E ovunque in ogni stato, popolo, comunità, religione, la solennità è sempre stato il laticlavio con il quale ammantare di sacralità i simboli costituzionali in una sorta di iconolatria delle istituzioni.

Ma da loro è diverso, è più forte e, di tale solennità, Elisabetta II, in linea con i suoi predecessori, è stata una rigorosa, attenta, custode piena osservante delle tradizioni e dei dettati costituzionali del suo paese.

È per questo che è stata rispettata ma anche adorata dal suo popolo, è per questo che in Inghilterra non cantano l’inno solo allo stadio e nelle aule parlamentari non si sognano minimamente di introdurre scatolette di tonno o apriscatole da III C in gita scolastica. Oggi Elisabetta II ha concluso i suoi 70 anni di regno e il mondo è certamente più triste.

God save the Queen.