BLOG

Il “bullismo” giornalistico di Gramellini sa di misoginia

Insegnante, giornalista e scrittore
Il “bullismo” giornalistico di Gramellini sa di misoginia

Ai bei tempi della Scuola di giornalismo di Urbino mi venne insegnato che il giornalismo dovrebbe essere il cane da guardia del potere politico. Significa che noi giornalisti dovremmo porre l’attenzione su ciò che fanno i politici al governo più che quelli all’opposizione. Più su Meloni, Salvini e Berlusconi, insomma, che non su altri.

Questo non significa che non si possa fare le pulci ai leader dell’opposizione, ci mancherebbe altro. Ecco dunque che quando succede che in un partito di minoranza – un nome a caso: Azione, di Carlo Calenda – si hanno intere classi dirigenti che si dimettono in polemica con il proprio leader nazionale e fondatore (sempre Carlo Calenda), uno si aspetterebbe che la brillante penna di Massimo Gramellini approfitti per stigmatizzare il fallimento politico di Calenda e il dissolvimento di Azione.

Non uso il termine in modo esagerato: a Modena, città del numero 2 di Calenda, Matteo Richetti, si sono dimessi in massa 38 iscritti del direttivo provinciale, e non so quanti iscritti ad Azione siano rimasti in quella città. In Piemonte si è dimesso il segretario regionale, l’ex deputato Gianluca Susta. A Firenze se n’è andato il segretario cittadino, l’imprenditore Franco Baccani. In Emilia ha salutato la consigliera regionale emiliana Giulia Pigoni. Alla Camera, la deputata Naike Gruppioni. E queste sono solo le defezioni degli ultimi giorni. Gli ultimi tre politici sono passati a Italia Viva, ossia quel partito politico contiguo, aderente allo stesso eurogruppo, con cui Azione si è presentata sotto lo stesso simbolo, non avendo le firme per partecipare alle elezioni del 2022 da soli. Piccolo dettaglio che molti azionisti omettono, ma che Calenda ha correttamente riconosciuto.

Oppure ti aspetteresti che l’arguto Gramellini decidesse di prendere in giro quel senatore romano che, in pieno spirito Il Marchese del Grillo, ha fin qui litigato personalmente con Emma Bonino, Federico Pizzarotti, Enrico Letta e Matteo Renzi – vale a dire tutti i leader del centrosinistra italiano del 2022/2023.

E non è che l’ha fatto in modo asciutto, sobrio e diplomatico: no. Mancava solo che gli citasse i morti, per il resto gliene ha dette di tutti i colori e anche di più. Dileggio, critiche, insulti. Calenda sui social è preso dallo spirito di Blair, ma non Tony: Linda, la bimba dell’esorcista. L’ex manager della Ferrari quando rompe con qualche leader politico con cui fino al giorno prima si abbracciava e baciava in pubblico ai limiti degli atti osceni, lo fa all’incirca come facevamo noi alla bella età di 8 anni: “non mi hai fatto niente, / faccia di serpente! / Specchio riflesso, / buttati nel cesso!” e daje di ostentazione di palmi di mani intrecciate e braccia tese. Poi però Carletto chiede scusa, eh. Ammette l’errore. Solo che lo fa con allarmante frequenza, per dirla con Charlie Brown.

Insomma, l’ottimo Gramellini avrebbe davvero l’imbarazzo della scelta, se volesse inzuppare il pane della sua ironia. Invece cosa ti combina la firma del Corriere? Se la prende con Matteo Renzi. Colpevole di aver “sfilato” la deputata Gruppioni e la consigliera regionale Pigoni. Capito come? E’ Renzi che le ha “sfilate”, come fossero perline di una collana, oggetti, ammennicoli.

L’ipotesi che le due donne politiche siano arrivate a una scelta politica ponderata in modo autonomo e indipendente non sfiora la mente dell’arguto giornalista torinese. E cosa avrebbe dovuto fare, di grazia, Renzi? Rifiutarsi di accogliere la deputata e la consigliera regionale? Respingerle? Dire loro, con un dorso della mano sulla fronte, “No, tornate con Carlo, io non vi merito!” O non avrebbe dovuto organizzare una conferenza stampa? Non dire niente a nessuno, nella speranza che Calenda e il resto del mondo non si accorgessero delle dimissioni delle due e della loro entrata in Italia Viva? Oppure non doveva elogiarle per la scelta fatta?

Caro Gramellini, in democrazia i partiti hanno l’obiettivo istituzionale di attrarre voti (e classi dirigenti) di altri partiti: lo chiamiamo gioco democratico. Non c’è “bullismo” se io mi prendo i voti che erano tuoi. Non c’è “bullismo” se Renzi celebra una deputata che, davanti ai giornalisti, dichiara: “Me ne sono andata da Azione per un problema di leadership, di autorità e di autorevolezza”. Perché lo dichiara LEI, la donna deputata, e quelle parole – ci creda o no – non gliel’ha mica scritte o chieste Renzi. Pensi: le deputate, ancorché provviste di utero, sono in grado di produrre pensiero autonomo e di scriversi un discorso politico, spiegando a parole loro come mai lasciano un signore romano che pochi anni fa ammise di “non capirci nulla di politica” in favore di un altro signore di Rignano sull’Arno riconosciuto perfino dai suoi avversari come uno dei politici di oggi più intelligenti.

Oddio, soppesati i competitori di Renzi, non mi pare si debba essere Churchill per esser valutati così bene, ma questo – caro Gramellini, ne converrà – è un altro discorso.