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Il Pnrr e il vero punto dolente italiano: la mancanza di competenze per la progettazione europea

Giornalista e Docente
Il Pnrr e il vero punto dolente italiano: la mancanza di competenze per la progettazione europea

Forse lo sanno in pochi ma sono mesi che si promuovono (in presenza e in modalità online)  master universitari specifici per diventare esperti in euro-progettazione. Stiamo parlando di  una formazione completa e aggiornata sulle tecniche e sulle conoscenze  indispensabili alla presentazione di progetti europei competitivi dovuto ad uno  scenario che esige livelli di professionalità molto elevati. 

Sinceramente non mi meraviglia l’apertura di questi percorsi poichè li vedo come un tentativo di contrasto al grave  deficit gestionale che sta causando l’agonia lenta e inesorabile del Pnrr nel nostro paese. Altro che mettersi tutti alla “stanga” come ricorda (inascoltato) il presidente Sergio Mattarella: ci si ostina a non capire che il vero tallone d’Achille è la pressoché totale incapacità di seguire – step by step – un progetto e gestirlo fino alla sua messa a terra, al suo compiersi dinanzi allo sguardo della cittadinanza. Si è perseverati nell’errore di questi anni a non ingaggiare e valorizzare  figure “quadro” (chiamiamolo management) con strutturate competenza multilivello (ingegneristica, giuridica, linguistica  etc) capaci di aiutare politica e dirigenza a gestire questi dossier: questo vuoto di competenze si configura come una iattura per la nostra PA,  intossicata da rendite di posizione, lavoro al ribasso, afasie e inconsapevolezze.

Basti pensare che mesi fa gli appositi concorsi nel reclutamento di tali figure nella fascia under 40 si siano rivelati un flop sia per la poca esperienza dei candidati, la scarsità di titoli (il che ci dice qualcosa sul tasso di laureati in Italia) e soprattutto  a causa della  proposta contrattuale in sé (quelli bravi non si staccano dal privato per un contratto in PA a tempo determinato e con stipendi di 1900 euro lordi mensili). Chiamiamola scarsa considerazione del pubblico ma tant’è che l’alta competenza latita e si muove verso realtà del privato più appetibile e meritocratiche.  Prima ancora del tanto acclamato Pnrr, i fondi di coesione territoriale nel nostro paese erano spesi (parliamo del budget ordinario) solo al 60 % portando l’Italia al penultimo posto dietro solo alla Spagna per spreco di opportunità e progetti attuati; salvo poi piangere nei media e dare la colpa all’Europa dei poteri forti.  Qui di forte, in questi anni, è stata la pigrizia paludosa di chi non è capace di progettare, gestire e spendere a beneficio della collettività. Il resto sono chiacchiere per annebbiare i pensieri dei cittadini. 

Col Pnrr siamo nella stessa identica paralisi: si stralciano progetti (dopo otto mesi di governo) e si rimettono in soffitta in attesa di Godot con la modifica di 144 progetti dei 349 ancora da centrare fino al 2026 e, con essi, si spostano decine di miliardi di euro degli 89,6 che restano da incassare, sui 191,5 complessivamente assegnati all’Italia.  Un fiasco gigantesco, tutto focalizzato con quanto dicevo prima: Esiste un solco di mezzo  tra la propaganda politica dei livelli alti e la res dei risultati. Lo possiamo chiamare vuoto gestionale che si declina in molti modi come  un documento digitale tra  piattaforme che non dialogano fra loro, messaggi via pec che non si leggono negli uffici,  mediocre competenza delle figure intermedie, un deficit di cultura dei risultati e della produttività, insofferenza alla rendicontazione e potremmo continuare.  Il tutto aggravato dal benaltrismo indolente di chi dovrebbe controllare però intanto si va in ferie poi il tempo vedrà e un tappeto si trova per nascondere la polvere. 

In questa situazione, data la provenienza dei fondi, cioè da tutti gli europei, non ci sono alibi possibili ma si esige scrupolosa responsabilità senza nascondersi dinanzi ai propri impegni. Ne vale della credibilità di tutti noi così come ha ammonito il presidente Mattarella a proposito del Pnrr  “quale che sia il livello istituzionale, quale che sia il ruolo politico, di maggioranza o di opposizioneUn eventuale insuccesso o un risultato soltanto parziale non sarebbe una sconfitta del Governo ma dell’Italia: così sarebbe visto e interpretato fuori dai nostri confini e così sarebbe nella realtà.

Lavorare perciò a  capo fitto (e con Fitto intendo il ministro).